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Il nuovo decreto sulla canapa alimentare

Il nuovo decreto sulla canapa alimentare

Il nuovo decreto sulla canapa alimentare – Decreto del Ministero della Salute 4 novembre 2019 – è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 15 gennaio 2020. Si riporta, per comodità, il link per una rapida consultazione.

Il decreto, molto atteso dal settore agroalimentare italiano, ha finalmente fatto chiarezza nel fissare i valori delle concentrazioni massime (limiti massimi) di THC (tetraidrocannabidiolo) negli alimenti prodotti a partire dalla canapa.

Definizioni e parte generale

L’articolato del decreto risulta estremamente compatto e formato da soli 8 articoli e 3 brevi allegati.

All’art. 2 trovano spazio alcune definizioni:

  • a) «Canapa»: pianta di Cannabis sativa L.  rispondente   ai requisiti dell’art. 32, comma 6, del reg. (UE) n. 1307/2013;
  • b) «Alimenti derivati dalla canapa»: parti e/o derivati dalle parti della canapa che hanno fatto registrare un consumo significativo alimentare, ai sensi del reg. (UE) n. 2015/2283;
  • c) «THC (tetraidrocannabinolo) totale»: concentrazione risultante dalla somma delle concentrazioni della sostanza «Δ9 – THC ((-) – trans – Δ9 – THC)» e del precursore acido non attivo «Δ9 – THCA – A (acido delta-9-tetraidrocannabinolico A)».

L’elenco degli alimenti derivati dalla canapa è contenuto, nello specifico, nell’allegato I, mentre i limiti massimi di THC totale ammissibile negli alimenti medesimi sono fissati nell’allegato II e sono validi fino all’adozione di disposizioni armonizzate unionali. Per tutti gli altri alimenti non elencati (art. 5 co. 2°), trova applicazione l’art. 2 del regolamento (CE) n. 1881/2006 e successive modificazioni “prodotti alimentari essiccati, diluiti, trasformati e composti”.

L’allegato II, invece, è dedicato ai metodi di campionamento (con riferimento al regolamento (CE) n. 401/2006) e alle analisi degli alimenti anzidetti (con rimando alla raccomandazione (UE) n. 2016/2115 della Commissione del 1° dicembre 2016).

Da ricordare, infine, la presenza nel testo normativo della clausola di mutuo riconoscimento (art. 7), in forza della quale sono considerate conformi all’ordinamento italiano i prodotti a base di canapa alimentare legalmente commercializzati in un altro Stato membro dell’Unione europea o in Turchia o provenienti da uno Stato EFTA firmatario dell’accordo SEE.

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Alimenti derivati da canapa e limiti massimi di THC totale

All’allegato I, come già detto, vengono elencati gli alimenti, o meglio le parti di canapa che possono essere regolarmente impiegate nella produzione alimentare.

Si tratta dei semi (inclusi quelli triturati, spezzettati e macinati diversi dalla farina) e dei suoi derivati principali, ovvero farina e olio.

Quanto ai limiti massimi di THC totale, espressi in mg/kg, l’allegato II prevede i seguenti tenori:

  • semi e farina: 2,0 mg di THC totali su 1 kg di prodotto;
  • olio ottenuto da semi di canapa: 5,0 mg/kg;
  • integratori alimentari contenenti alimenti derivati dalla canapa: 2,0 mg/kg.

Tali limiti sono invero alquanto restrittivi, basti pensare che in Svizzera, su semi e farina di semi il valore è di 10 mg/kg e su olio è di 20 mg/kg; in Canada, per tutte le categorie, è di 10 mg/kg.

La mancanza delle infiorescenze di canapa

Come si può notare, manca qualsivoglia riferimento all’infiorescenza e agli olii essenziali dalla stessa prodotti.

La mancanza è grave, dal momento che l’infiorescenza di canapa è usata con sicurezza da anni in altri Paesi europei per la produzione di tisane.

Il dubbio legittimo degli operatori italiani, a questo punto, è se il Ministero ne abbia omesso il riferimento in quanto trattasi di prodotto vietato, o perché abbia reputato superflua la relativa indicazione.

Se si ritenesse di aderire alla prima conclusione, andrebbe tuttavia ricordato che, in virtù della clausola di mutuo riconoscimento sopra evidenziata, i prodotti alimentari contenenti infiorescenza di canapa ed olii essenziali, legalmente commercializzati in altro Paese europeo, devono poter essere venduti anche in Italia. A ciò si aggiunga che nel nostro ordinamento non esiste alcuna norma che vieti la produzione di siffatti alimenti.

È però evidente che a seguito del decreto ministeriale, in fase di controllo, qualche Pubblico Ufficiale potrebbe, anche solo per precauzione, aprire un procedimento a carico dell’OSA, con conseguente perdita di tempo e denaro per quest’ultimo.