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Decreto sulle pratiche commerciali sleali nell’agroalimentare

Decreto sulle pratiche commerciali sleali nell’agroalimentare n. 198/2021, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 30.11.2021 e in vigore dal 15.12.2021.

 

Il testo di cui si parliamo in questo articolo, – Decreto in materia di pratiche sleali nei rapporti tra imprese nella filiera e alimentare nonché in materia di commercializzazione dei prodotti agricoli e alimentari” è stato approvato il 4 novembre 2021 dal Consiglio dei Ministri, che recepisce la Direttiva europea 2019/633 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 17 aprile 2019direttiva UTPs (Unfair Trading Practices).

L’Italia, tra l’altro, come anche gli altri Stati Membri, avrebbe dovuto adottare la norma nazionale entro il 1° maggio 2021 ed applicare le nuove disposizioni a partire dal 1° novembre dello stesso anno. Il ritardo con cui si è giunti al decreto in parola avevano portato la Commissione UE ad aprire la procedura d’infrazione contro il nostro Paese.

 

Sul tema della concorrenza sleale si rinvia a nostro articolo che ne illustra le coordinate generali nel quadro giuridico italiano.

Da ultimo, si veda la Nota n. 308927 del 12 luglio 2022 di ICQRF: “Decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 198. Interpretazione articolo 2, comma 1, lettera a) accordo quadro” sulla corretta interpretazione di contratto di cessione con consegna pattuita su base periodica.

 

Aggiornato a luglio 2022

OBIETTIVO DELLA DIRETTIVA UTPs

 

L’obiettivo del legislatore euro-unitario è porre un rimedio agli squilibri nel potere contrattuale che si sono venuti a creare tra fornitori (cioè produttori primari) e acquirenti di prodotti agricoli e alimentari (soprattutto industrie e GDO), anche quando questi ultimi sono enti di diritto pubblico.

 

 

PRATICHE COMMERCIALI SLEALI: COSA SONO

Il risultato della spropositata forza economica degli acquirenti di prodotti agricoli ha determinato, infatti, negli anni, numerosi fenomeni di pratiche commerciali sleali che possono verificarsi indistintamente prima, durante o dopo un’operazione di vendita di derrate alimentari o anche in relazione ad alcuni servizi accessori alla vendita stessa.

 

Le pratiche sleali sono numerose, infinite, ma accomunate da un tratto comune: sono contrarie alla buona fede e alla correttezza professionale, caratterizzate da un trasferimento ingiustificato e sproporzionato del rischio economico o da un significativo squilibrio di diritti e doveri a danno del partner commerciale più debole.

 

Da un punto di vista tecnico-giuridico, possono essere suddivise in due gruppi: quelle sempre vietate, a prescindere da un accordo tra le parti, e quelle che invece lo diventano solo se applicate unilateralmente dalla controparte “forte”.

Le prime assumono la forma di vere e proprie condizioniprendere o lasciare” a cui il venditore non riesce ad opporsi, nel senso che se vuole realizzare l’affare si vede spesso costretto ad accettare, ragion per cui, per il legislatore euro-unitario, devono essere sempre considerate illecite.

Ne costituiscono esempi le clausole che prevedano pagamenti superiori ai 30 giorni per merci deperibili (o 60 per quelle non deperibili) o l’addebito di spese per prestazioni ultronee al contratto.

Le seconde, invece, vengono solitamente imposte dal compratore al proprio fornitore dopo la sottoscrizione del contratto, a sorpresa, facendo ricadere su quest’ultimo rischi imprevisti/imprevedibili.

Tra queste si possono citare l’eliminazione unilaterale di un determinato prodotto previsto nell’accordo di fornitura o, ancora, l’addebito ex post al fornitore dei costi di immagazzinamento ed esposizione dei prodotti presso il punto vendita dell’acquirente.

 

 

IL DECRETO

Le norme italiane di recepimento della direttiva UTPs si applicano a tutte le cessioni di prodotti agro-alimentari tra soggetti, siano essi persone fisiche o giuridiche (anche non riconosciute), senza soglie di fatturato.

 

Giova evidenziare come le disposizioni in esame debbano essere osservate anche da parte di acquirenti che non hanno stabilimenti in Italia e che acquistino da produttori/fornitori italiani.

 

 

ESCLUSIONI

Il decreto non si applica, sostanzialmente, a tre tipologie di cessioni di derrate (art. 2.e):

  • quelle nei confronti del consumatore finale;
  • quelle in cui vi sia contestuale consegna e pagamento del prezzo pattuito;
  • quelle aventi ad oggetto conferimenti a cooperative o organizzazioni di produttori di cui i fornitori siano soci.

 

Gli articoli 3, 4, 5 e 7 recano norme imperative, che prevalgono su eventuali norme settoriali contrastanti e rendendo nulle le clausole contrattuali non conformi alle stesse.

 

 

REQUISITI DEI CONTRATTI

 

Forma

In primis, si ribadisce la forma scritta ad substantiam (art. 3.2) dei contratti di cessione di prodotti agro-alimentari (era già così in forza del D.L.  24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modificazioni dalla L. 24 marzo 2012, n. 27).

È però possibile optare per un accordo quadro, lasciando poi che le singole operazioni vegano tracciate in modo più agile, ossia tramite documenti di trasporto o consegna, fatture e ordini di acquisto scritti (art. 3.3).

 

Sostanza

Il contenuto minimo dell’accordo deve contemplare:

  1. durata (mai inferiore a 12 mesi, salvo eccezioni di cui all’art. 3.4, es. ristoratori, o per deroghe motivate e pattuite dai contraenti – es. stagionalità dei prodotti);
  2. quantità;
  3. caratteristiche del prodotto venduto;
  4. prezzo, che può essere fisso o determinabile sulla base di criteri stabiliti nel contratto;
  5. modalità di raccolta (dei prodotti agricoli) e di consegna;
  6. modalità di pagamento;
  7. nel caso di contratti quadro conclusi da centrali di acquisto, l’indicazione in un allegato degli associati mandanti (art. 3.6);
  8. norme applicabili in caso di forza maggiore.

 

 

LA LISTA NERA

L’art. 4, co. 1 e l’art. 5 individuano le pratiche commerciali sempre sleali, anche se specificamente pattuite tra le parti.

 

Termini di pagamento o di annullamento ordini troppo sfavorevoli

Si citano, a titolo di esempio, la possibilità per l’acquirente di effettuare i pagamenti oltre 30 giorni (merci deperibili) / 60 giorni (merci non deperibili) dalla consegna, oppure oltre 30 giorni (merci deperibili) / 60 giorni (merci non deperibili) dopo il termine di un periodo di consegna convenuto in cui i prodotti sono consegnati periodicamente (i periodi di consegna non possono mai essere superiori ad un mese), oppure oltre 30 giorni (merci deperibili) / 60 giorni (merci non deperibili) dopo la data in cui è stato stabilito l’importo da corrispondere. Tale divieto non si applica ai contratti aventi ad oggetto distribuzione di ortofrutticoli alle scuole, prodotti acquistati da enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria e in certi casi di vendita di uve e mosti ai vinificatori (art. 4.3)

 

Ancora, fanno parte di questa categoria l’annullamento, da parte dell’acquirente, di ordini di prodotti agricoli e alimentari deperibili con un preavviso inferiore a 30 giorni (salvo eccezioni che saranno stabilite con regolamento del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali).

 

A proposito, un prodotto è deperibile quandoi prodotti agricoli e alimentari che per loro natura o nella fase della loro trasformazione potrebbero diventare inadatti alla vendita entro 30 giorni dalla raccolta, produzione o trasformazione” (art. 2.m).

 

Prestazioni extra non connesse e addebito del rischio

Vi sono ricomprese altresì le pattuizioni che prevedano l’addebito al fornitore di pagamenti per prestazioni non connesse con la vendita pattuita (es. spese di formazione, corsi di aggiornamento, ecc.) o di costi per il deterioramento o la perdita di prodotti agricoli e alimentari che si verifichino presso i locali dell’acquirente o comunque dopo che tali prodotti siano stati consegnati o quelli per sostenere/esaminare reclami da parte dei clienti sui prodotti ceduti (a meno che non vi sia colpa o negligenza del fornitore).

 

Altre scorrettezze verso il fornitore

Un gruppo di clausole della lista nera riguarda poi condotte scorrette dell’avente causa, tra cui il rifiuto di confermare per iscritto le condizioni contrattuali, la violazione di segreti commerciali del fornitore e financo la minaccia di ritorsioni commerciali se quest’ultimo dovesse esercitare i propri diritti contrattuali e legali.

 

Modifiche unilaterali

Sempre vietate le modifiche unilaterali a uno degli elementi essenziali del contrato da parte di acquirente o fornitore.

 

Vendite a doppio ribasso o sottocosto e prestazioni eccessivamente sproporzionate

L’art. 5 elenca, infine, una serie variegata di pratiche sempre vietate, tra cui segnaliamo quelle più rilevanti a danno del fornitore:

  • acquisto di prodotti agricoli e alimentari tramite gare e aste elettroniche a doppio ribasso;
  • imposizione di prezzi al di sotto dei costi di produzione, eccetto nel caso i) di prodotti invenduti a rischio di deperibilità e ii) di operazioni commerciali programmate e concordate con il fornitore in forma scritta (art. 7);
  • imposizione al fornitore, successivamente alla consegna dei prodotti, di un termine minimo prima di poter emettere la fattura, eccetto quando i prodotti vengono consegnati periodicamente nello stesso mese.

In generale, l’articolo in esame censura tutte le statuizioni che comportino, in qualunque modo, anche indirettamente, condizioni contrattuali eccessivamente gravose – tra cui l’imposizione di un trasferimento ingiustificato e sproporzionato del rischio economico ad una sola parte – e condotte sleali – come l’imposizione di servizi e prestazioni indebite, ingiustificate e irragionevoli rispetto all’oggetto del contratto – da valutarsi sulla base della globalità e complessità del rapporto contrattuale (non soffermandosi dunque ad un’analisi parcellizzata clausola per clausola).

 

Scorrettezze verso l’acquirente

Citiamo infine clausole che fanno riferimento a situazioni opposte rispetto a quanto visto finora, ovvero quelle nelle quali il contraente forte è il fornitore.

In particolare, quest’ultimo non deve imporre all’acquirente di comprare prodotti con date di scadenza troppo ravvicinate rispetto alla consegna, di mantenere un certo assortimento di beni o di inserire di determinati prodotti nel listino o che questi vengano presentati in posizioni privilegiate del punto vendita.

 

 

LA LISTA GRIGIA

Il comma 4 dell’art. 4 è dedicato, invece, alla lista grigia, che raggruppa pratiche commerciali considerate sleali, a meno che non siano state oggetto di precedente pattuizione tra le parti, chiara e univoca.

Esse possono investire, per esempio, la restituzione, da parte dell’acquirente al fornitore, di prodotti agricoli e alimentari rimasti invenduti, senza doverli pagare ed il pagamento di spese accessorie connesse ai prodotti forniti, come quelle di immagazzinamento, esposizione, commercializzazione, promozione, pubblicità e marketing (in questi casi, se richiesto, l’acquirente dovrà fornire una stima per iscritto dei costi e dei pagamenti).

 

PRATICHE COMMERCIALI VIETATE

Le pratiche commerciali di cui sopra vietate sono nulle, a prescindere dalla legge scelta dalle parti per regolare il contratto, essendo le norme viste finora definite come imperative e la nullità delle singole clausole non comporta la nullità dell’intero contratto.

 

COMPORTAMENTO DELLE PARTI DURANTE E DOPO LA CONCLUSIONE DEL CONTRATTO

Entrambe le parti, sia durante le fasi di negoziazione, che in quelle esecutive dell’accordo, devono sempre comportarsi secondo buona fede, ossia, come ribadito dall’art. 6, co. 2, in osservanza dei principi di correttezza, trasparenza, assunzione da parte di ciascuno dei propri rischi imprenditoriali e giustificabilità delle richieste.

 

 

INFORMAZIONI AL CONSUMATORE

Interessante la possibilità concessa ai venditori di poter pubblicizzare i prodotti oggetto di accordi e contratti di filiera almeno triennali e quelli conformi alle condizioni contrattuali definite nell’ambito degli accordi quadro ovvero che siano conclusi con l’assistenza di organizzazioni professionali maggiormente rappresentative a livello nazionale con una dicitura del seguente tenore: “Prodotto conforme alle buone pratiche commerciali nella filiera agricola e alimentare” (art. 6.3)., ovviamente a patto che ciò sia vero e dimostrabile.

 

 

AUTORITÀ COMPETENTE

La vigilanza sulla correttezza delle pratiche commerciali tra gli operatori della filiera è demandata all’ICQRF, l’ispettorato centrale del Ministero delle Attività Agricole, Alimentari e Forestali, supportato all’occorrenza dal Comando Carabinieri per la tutela agroalimentare, oltre che della Guardia di finanza (art. 8).

I funzionari ministeriali, a tal fine, potranno condurre indagini d’iniziativa o dietro denuncia, acquisire documenti, effettuare ispezioni a sorpresa, eventualmente tutelando l’identità del denunciante quando ciò sia necessario per tutelarlo e, soprattutto, possono inibire immediatamente i responsabili dal continuare a perpetrare le pratiche scorrette.

Restano invece salve le attuali competenze di AGCM – Autorità garante della concorrenza e del mercato – in ordine all’accertamento e alla repressione delle pratiche commerciali scorrette di cui agli articoli 18 e seguenti del decreto legislativo 6 ottobre 2005, n. 206 (Codice del Consumo).

 

Procedura di accertamento

Ammesso che la parti non vogliano ricorrere a procedure di mediazione o di risoluzione alternativa delle controversie, la parte che ritiene di essere stata danneggiata, nonché, in sua vece, eventuali associazioni o organizzazioni di cui fa parte (o anche altre, purché abbiano un interesse qualificato nella vicenda e siano no profit), possono presentare una denuncia all’ICQRF (l’ispettorato è unico, ma articolato territorialmente), indipendentemente dal luogo di stabilimento del denunciato (art. 9). La denuncia può essere presentata facilmente online scaricando il modulo fornito dal MiPAAF (vedi qui).

 

Nell’atto il denunciante ha la possibilità di evidenziare quali informazioni trattare in via riservata, se la loro rivelazione al denunciato potrebbe ledere gli interessi dello stesso denunciante o del soggetto leso.

Importante come il legislatore si sia preoccupato di imporre tempi precisi e contenuti all’Ispettorato, il che costituisce una novità nel settore alimentare.

ICQRF, infatti, ha 30 giorni di tempo dal ricevimento della denuncia per informare il denunciate come intenda procedere e 180 giorni (sempre dal ricevimento della denuncia) per archiviare il procedimento o concludere le indagini con conseguente contestazione della violazione al soggetto responsabile.

 

 

SANZIONI

Le sanzioni previste dal testo in commento sono piuttosto severe (art. 10) e si applicano sempre che i fatti commessi non costituiscano illecito penale.

È previsto un tetto massimo insuperabile: il 10% del fatturato realizzato dal soggetto sanzionato nell’ultimo esercizio precedente all’accertamento.

Il procedimento segue quanto previsto dalla L. 689/81, ma non è consentito il pagamento in misura ridotta di cui all’articolo 16 della medesima legge.

Chiaramente l’eventuale responsabile degli illeciti potrà essere chiamato dal danneggiato innanzi al giudice civile per il risarcimento del danno da questi patito.

 

Quando vengono poste in essere quelle pratiche di cui alla lista nera ex art. 4, co. 1, è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria fino al 3,5% o 5% del fatturato (a seconda dei casi) realizzato nell’ultimo esercizio precedente all’accertamento, avendo come parametro il beneficio ricevuto dal soggetto che ha commesso la violazione nonché l’entità del danno provocato all’altro contraente, con dei minimi che variano a seconda della fattispecie.

 

Meno gravi le ipotesi di aste al doppio ribasso e di previsioni di vendite sottocosto: per queste sono previste sanzioni fino al 3% del fatturato realizzato nell’ultimo esercizio precedente all’accertamento, facendo riferimento al beneficio ricevuto dal soggetto che ha commesso la violazione nonché all’entità del danno provocato all’altro contraente e comunque non può essere inferiore a 10.000 euro.

 

Se, invece, le pratiche rientrano tra quelle di cui alla lista grigia (art. 4, co.4), si applica una sanzione amministrativa pecuniaria fino al 3% del fatturato realizzato nell’ultimo esercizio precedente all’accertamento, avendo riguardo al beneficio ricevuto dal soggetto che ha commesso la violazione nonché all’entità del danno provocato all’altro contraente e, in ogni caso, non può essere inferiore a 15.000 euro.