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Brexit e quadro normativo

Brexit e quadro normativo: quali regole dovranno osservare gli operatori europei del settore food & beverage? Cosa succede nell’ordinamento del Regno Unito ora?

In questo intervento cerchiamo di capire come orientarci al di là della Manica per esportare prodotti agroalimentari.

La normativa nel Regno Unito

Il 29 marzo 2017 il Regno Unito, dopo aver tenuto un apposito referendum popolare (il 23 giugno 2016), il cui esito è stato favorevole all’uscita dall’UE, ha notificato l’intenzione di recedere dall’Unione a norma dell’articolo 50 del trattato sull’Unione europea.

Per disciplinare il recesso del Regno Unito dall’Unione Europea, le due parti hanno stipulato il cosiddetto “Accordo di recesso”, approvato il 26 giugno 2018 e ratificato solo nel gennaio 2020.

Elemento fondamentale dell’accordo è la previsione del “periodo transitorio” (art. 126) che durerà dalla mezzanotte GMT del 31 gennaio 2020 (uscita formale del Regno Unito dall’UE) sino alla mezzanotte GMT del 31 Dicembre 2020 (uscita sostanziale). Tale periodo potrebbe essere prorogato per ulteriori uno o due anni.

Durante il periodo di transizione, il Regno Unito è vincolato dagli obblighi di tutti gli accordi internazionali dell’Unione Europea e continua a soggiacere alle norme e ai regolamenti unionali, compresi quelli riguardanti la sicurezza degli alimenti e dei mangimi e le informazioni al consumatore.

La conseguenza più ovvia è che non ci saranno cambiamenti immediati per le imprese alimentari che commerciano con il Regno Unito.

Durante questo periodo, inoltre, l’UE e il Regno Unito negozieranno un nuovo accordo che stabilirà i rapporti commerciali reciproci per il futuro, da applicarsi al termine della transizione.

L’approccio del governo Johnson, come stabilito nell’Accordo, è stato quello di trasferire il diritto dell’UE nella legislazione del Regno Unito, così che il diritto UE “conservato” continui a funzionare correttamente come parte del diritto interno a partire dal 1° gennaio 2021.

Le norme europee, evidentemente, presentano diversi profili di incompatibilità, essendo pensate per un ordinamento multistatale e che necessariamente devono essere adeguate ad una realtà nazionale.

Si pensi, in ambito alimentare, alle funzioni gestite da organi dell’Unione Europea e che, una volta decorso il periodo di transizione, non potranno più essere svolte nei confronti del Regno Unito, tra cui la valutazione del rischio (risk assessment), oggi ricoperta da EFSA e la gestione del rischio (risk management), assegnata alla Commissione Europea.

È dunque in questa direzione che la normativa di origine europea deve essere modificata per poter funzionare correttamente entro i confini britannici.

A tal scopo, è lo stesso Accordo a fornire ai Ministri del Regno Unito competenti per materia il potere di apportare correzioni al diritto dell’UE “conservato” mediante l’adozione di atti di rango secondario, i cc.dd. Statutory Instruments, soggetti a revisione e approvazione da parte del Parlamento.

Il Parlamento, da parte sua, dovrà vigilare affinché le suddette correzioni non incidano negativamente sui livelli di sicurezza e standard alimentari garantiti sinora dall’Unione Europea a tutti i cittadini, compresi quelli britannici.

I Ministri hanno già iniziato a lavorare coinvolgendo l’Autorità alimentare britannica – l’FSA (Food Standards Agency), la quale si è concentrata su tre macro-aree normative (frameworks):

  • sicurezza degli alimenti e dei mangimi;
  • standard sulla composizione alimentare ed etichettatura;
  • indicazioni sulla salute, composizione ed etichettatura nutrizionali.

Per farsi un’idea di come appariranno i nuovi regolamenti, si veda a quello relativo ai novel food già emano dal Governo.

Obiettivo delle Autorità di Sua Maestà, in ogni caso, è limitare al minimo le modifiche di carattere sostanziale, in modo tale da non imporre oneri aggiuntivi o nuovi per le imprese e gli organi di controllo.

Implicazioni sull’etichettatura

Intanto sgombriamo subito il campo da possibili dubbi: i prodotti alimentari, cibi o bevande immessi in vendita prima del 1° gennaio 2021 (termine del periodo di transizione), non devono essere modificati in nessun modo.

Per gli alimenti che, invece, vengono immessi sul mercato a partire dal 1° gennaio 2021, gli Operatori del Settore Alimentare, tanto europei che britannici, dovranno prestare attenzione alla modifica di alcuni dettagli.

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Quanto all’etichettatura, occorrerà considerare che il Regno Unito, molto banalmente, non sarà più uno Stato Membro bensì un Paese terzo.

Ciò avrà ripercussioni ogniqualvolta si debba o si desideri indicare in etichetta l’origine di un ingrediente o dell’alimento di per sé.

È il caso, ad esempio, dei prodotti biologici (art. 24 regolamento (CE) n. 834/2007 del Consiglio), per quanto riguarda il corretto impiego delle diciture “agricoltura UE” e “agricoltura non UE” (quella, appunto, del Regno Unito).

È altresì il caso del miele, la cui disciplina verticale impone la distinzione tra “miscela di mieli originari dell’UE” e “miscela di mieli non originari dell’UE” (art. 2, punto 4, lett. a), direttiva 2001/110/CE del Consiglio).

Ancora, vi sono ripercussioni circa l’indicazione obbligatoria del nome o della ragione sociale e dell’indirizzo dell’operatore responsabile delle informazioni (art. 9, par. 1°, lett. h) regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio): nel caso di prodotto del Regno Unito esportato in UE, si dovrà indicare un indirizzo europeo (una filiale dell’operatore britannico o un importatore); viceversa, su un prodotto UE esportato in UK l’indirizzo da riportare in etichetta dovrà essere interno al Regno Unito (anche qui tramite filiale o importatore).

Ulteriore esempio è che sul bollo sanitario (All. I, sez. I, capo III, regolamento (CE) n. 854/2004) o sul marchio di identificazione (All. II, sez. I, regolamento (CE) n. 853/2004) non figurerà più l’abbreviazione “CE” per carni UK, riservata agli stabilimenti ubicati nell’Unione, ma dovranno comparire il nome del Regno Unito (per intero o con il codice ISO a due lettere).

Implicazioni per l’import/export di alimenti

Quanto a profili diversi dall’etichettatura, i casi più problematici concernono gli alimenti e mangimi contenenti Organismi Geneticamente Modificati e i materiali e oggetti destinati a venire a contatto con gli stessi (i M.O.C.A.).

Ciò in quanto, nella prima ipotesi (art. 4, par. 6°, regolamento (CE) n. 1829/2003) il richiedente l’autorizzazione o il suo rappresentante devono essere stabiliti in Unione Europea; nella seconda (art. 15, par. 1, lett. c), regolamento (CE) n. 1935/2004 e legislazione settoriale sui singoli materiali) il fabbricante, il trasformatore o il venditore responsabile dell’immissione sul mercato deve essere stabilito all’interno dell’Unione Europea (si sta parlando di quei materiali od oggetti venduti separatamente dagli alimenti, prima di essere adoperati dall’industria alimentare). Non solo. Gli operatori britannici non potranno più nemmeno presentare nuove richieste di autorizzazione sia per gli O.G.M. che per i M.O.C.A. all’Unione Europea tramite la propria autorità nazionale, come fatto fino al 1° gennaio 2021.

Vale ovviamente anche il caso contrario per O.G.M. e M.O.C.A. venduti nel Regno Unito da operatori UE.

In altre parole, occorrerà sempre affidarsi ad un’azienda britannica per richiedere alla competente autorità locale l’autorizzazione all’immissione in commercio di un organismo geneticamente modificato e alla produzione/trasformazione/vendita di un materiale o oggetto destinato ad entrare in contatto con alimenti.

Maggiori i problemi per l’import/export di alimenti se, scaduto il periodo di transizione, non sarà stato raggiunto alcun accordo commerciale tra Unione Europea e Regno Unito.

I profili più delicati riguardano gli alimenti di origine animale.

In particolare, sul versante dell’importazione, il Regno Unito sarà considerato Paese terzo, con la conseguente necessità che lo stesso debba previamente essere inserito nell’apposito elenco compilato dalla Commissione UE allo scopo di garantire la conformità della normativa e dei controlli nazionali ai requisiti in materia di igiene e limiti dei residui europei; a loro volta, i singoli stabilimenti britannici da cui provengono e vengono confezionati gli alimenti dovranno figurare in un ulteriore elenco, curato parimenti dalla Commissione , sempre al fine di assicurare il rispetto di standard igienici equivalenti a quelli interni.

Tali ultimi requisiti, conseguentemente, verranno accertati sulle partite importate mediante controlli documentali, d’identità e materiali presso i Posti di controllo frontalieri.

Va da sé che sul fronte dell’export si applicheranno regole speculari per chi desideri continuare (o iniziare) ad essere presente nel ricco mercato d’oltremanica.

Per gli alimenti non di origine animale, non è naturalmente prevista alcuna registrazione negli elenchi europei degli Stati e degli stabilimenti extra-UE, ma verranno comunque posti in essere controlli al primo punto d’accesso al mercato unico, sebbene secondo modalità e con frequenza meno rigide rispetto ai prodotti di origine animale.

Si complica altresì l’import/export di prodotti biologici, visto che il Regno Unito è, dal 1° gennaio 2021, Stato terzo, con tutte le conseguenze previste dalla normativa di settore (il nuovo regolamento UE 2018/848 sulla produzione biologica, anch’esso applicabile, ironia della sorte, proprio dal 1° gennaio 2021).

Ultimo, ma non per ordine d’importanza, è il tema dei regimi di qualità (le indicazioni geografiche qualificate, su tutte DOP, IGP e STG di cui al regolamento (UE) n. 1151/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, regolamento (CE) n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio e regolamento (CE) n. 110/2008). Tali strumenti di tutela, a decorrere dalla data del recesso e fino a quando non verrà stipulato apposito trattato internazionale, non potranno essere attivati nel Regno Unito.

Questioni aperte

Rimangono aperte delle questioni, come sottolineato dall’interessante paperBrexit food safety legislation and potential implications for UK trade: The devil in the details”, Briefing Paper 37 – November 2019 a firma di Emily Lydgate, Chloe Anthony ed Erik Millstone.

La critica principale è che viene consentito ai ministri di esercitare un notevole potere discrezionale in sede di recepimento e modifica dei regolamenti unionali, potendo non solo limitarsi a correggere le parti più palesemente incompatibili col diritto interno, ma andando anche oltre (es. modificando le autorizzazioni e le soglie degli OGM o stabilendo nuovi standard relativi alla sicurezza alimentare). E’ vero che il Parlamento è chiamato ad esprimersi sul testo finale, ma è altrettanto vero che sarà investito da una quantità immane di regolamenti e che difficilmente riserverà a ciascuno di essi l’attenzione che merita.

Altro problema, poi, è rappresentato dal frazionamento di competenze all’interno delle nazioni che compongono il Regno Unito.

All’Irlanda del Nord, come noto, è riservato un trattamento del tutto peculiare già nell’Accordo di Recesso, in quanto territorio di frontiera tra la Repubblica d’Irlanda, europea, e il resto del Regno Unito, con implicazioni estremamente complesse non solo dal punto di vista normativo ma anche doganale.

La Scozia ha già dichiarato che intende, da qui in avanti, restare allineata alla normativa europea e non è escluso che terrà un secondo referendum sull’indipendenza (che porterà con sé la richiesta di ingresso in UE, sulla quale però vi sarà certamente il veto della Spagna).

In altre parole, per il Regno Unito sarà arduo mantenere un accettabile livello di omogeneità interna, con aggravio di costi per le imprese.