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Il nuovo regolamento sull’origine/provenienza

Il nuovo regolamento sull’origine/provenienza dell’ingrediente primario di un alimento, applicabile dal 1° aprile 2020, è apparentemente semplice (solo 4 articoli), ma nasconde parecchie insidie interpretative.

Cerchiamo allora di capire come muoversi al meglio, anche grazie all’ausilio di casi pratici.

 

Aggiornato a luglio 2021

 

Il regolamento sull’origine dell’ingrediente primario

Innanzi tutto, parliamo del regolamento (UE) n. 2018/775, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea il 29.5.18 “recante modalità di applicazione dell’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, per quanto riguarda le norme sull’indicazione del paese d’origine o del luogo di provenienza dell’ingrediente primario di un alimento”.

Il Regolamento prevede che l’operatore responsabile delle informazioni al consumatore dell’alimento debba indicare il Paese di origine o il luogo di provenienza dell’ingrediente primario, con diverse modalità possibili e fornisce indicazioni pratiche (dimensioni, posizione ecc.) sulla presentazione delle suddette informazioni (art. 3).

Come detto, le disposizioni sono applicabili dal 1° aprile 2020, ma, transitoriamente, gli alimenti immessi sul mercato o etichettati prima di questa data possono essere commercializzati sino ad esaurimento delle scorte (art. 4, par. 3°).

Per un aiuto nell’interpretazione del regolamento in esame, si rimanda infine alle linee guida rilasciate dalla Commissione il 30 gennaio 2020 “Comunicazione della Commissione sull’applicazione delle disposizioni dell’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento (UE) n. 1169/2011”.

 

 

Paese d’origine e luogo di provenienza

L’origine doganale non preferenziale (o commerciale)

Il Paese di origine è definito dall’art. 60 del regolamento (UE) n. 952/2013 (Codice Doganale dell’Unione Europea) come:

  • (i) il Paese in cui un prodotto è stato interamente ottenuto; o
  • (ii) il Paese ove il prodotto, seppur non sia stato ivi interamente ottenuto, subisca l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale economicamente giustificata.

 

Il Regolamento Delegato (UE) 2446/2015 della Commissione, all’art. 31, in attuazione del sopra visto art. 60, par. 1, CDU, afferma che, per quanto di interesse alle imprese alimentari, sono considerati interamente ottenuti in un unico paese o territorio:

  • i prodotti del regno vegetale ivi raccolti; gli animali vivi, ivi nati e allevati;
  • i prodotti provenienti da animali vivi ivi allevati;
  • i prodotti della caccia e della pesca ivi praticate;
  • i prodotti della pesca marittima e altri prodotti estratti dal mare fuori delle acque territoriali di un paese da navi registrate nel paese o territorio interessato e battenti bandiera di tale paese o territorio; e
  • le merci ottenute o prodotte a bordo di navi-officina utilizzando prodotti della pesca originari di tale paese o territorio, sempreché tali navi-officina siano immatricolate in detto paese e ne battano la bandiera.

 

Il secondo criterio, invece, si applica quando due o più Paesi sono coinvolti nella fabbricazione del prodotto (art. 60, par.2 e artt. 32, 33 e 34 R.D.).

Affinché un Paese possa essere riconosciuto come quello di origine non preferenziale di un bene, in sintesi, occorre che i suoi materiali di partenza (gli ingredienti, nel caso di alimenti), non originari di quel Paese, vengano ivi trasformati o lavorati da un’azienda attrezzata a tale scopo, in modo da dare vita ad un prodotto nuovo, con composizione e proprietà specifiche che prima di tale lavorazione non possedeva (e conseguente cambio di voce doganale) e giustificata sul piano economico da un aumento di valore.

Non sono rilevanti le cc.dd. “operazioni minime” elencate all’art. 34 R.D. e, chiaramente, vanno escluse le operazioni elusive (art. 33, co. 1, R.D.)

L’allegato 22-01 al Regolamento Delegato, per facilitare gli operatori, offre un elenco di beni per i quali vengono dettate regole cogenti, divise in primarie e residuali, che consentono di attribuire con facilità e precisione l’origine non preferenziale ai sensi dell’art. 60, par. 2, C.U.D..

Tali regole si applicano solo alle merci specificamente contemplate nell’allegato. Nel caso degli alimenti, in particolare, si guarda alla Sezione IV “PRODOTTI DELLE INDUSTRIE ALIMENTARI; BEVANDE, LIQUIDI ALCOLICI ED ACETI; TABACCHI E SUCCEDANEI DEL TABACCO LAVORATI”.

Per le merci che non rientrano nell’allegato 22-01, si applicano le cc.dd. regole di lista, non cogenti, adottate come posizione comune dell’UE nei negoziati in sede WTO – World Trade Organization.

Se il Paese di origine non può essere stabilito neppure in questa maniera, allora si applica il criterio residuale, in virtù del quale l’origine non preferenziale è individuata in relazione al Paese o territorio di cui è originaria la maggior parte dei materiali calcolata in base al valore degli stessi.

 

La provenienza

Il luogo di provenienza, invece, è definito dall’art. 2, par. 2, lett. g), del regolamento (UE) n. 1169/2011 (Food information to consumers regulation – d’ora in avanti FICR o regolamento FIC) come qualsiasi luogo in cui è indicato che provenga un alimento e che non è il “paese di origine“.

In altre parole, luogo di provenienza può essere:

  • luogo che non è individuabile applicando le regole sopra evidenziate sull’origine doganale non preferenziale, poiché il prodotto non vi è stato interamente ottenuto, o perché non coincide con quello di ultima trasformazione sostanziale economicamente giustificata (es.: luogo di mero confezionamento);
  • luogo diverso dal nome del Paese d’origine (es. una regione all’interno dello stesso, una città, o anche una zona a cavallo di più Stati).

 

 

L’indicazione del luogo di origine/provenienza dell’alimento

Prima di addentrarci nell’analisi del regolamento d’esecuzione, che prende di mira l’ingrediente primario, occorre fare un passo indietro e concentrare l’attenzione sulla dichiarazione obbligatoria dell’origine/provenienza dell’alimento nel suo complesso.

La norma a cui fare riferimento è l’art. 26 del regolamento (UE) n. 1169/2011, valevole tuttavia per i soli preimballati, essendo rimessa agli Stati membri (art. 44 FICR) la possibilità di emanare norme interne che prevedano un obbligo analogo anche per le altre categorie. In Italia, al momento, non è vigente alcuna disposizione di questo tipo.

 

L’origine/provenienza dell’alimento (made in…)

Il concetto di base è che l’indicazione del Paese d’origine/luogo di provenienza è sempre facoltativo, eccetto i casi previsti proprio dal regolamento.

Il primo di questi è enunciato dall’art 26, par. 2, lett. b), FICR, che rimanda all’allegato XI dello stesso regolamento e vale per le carni suina, ovina, caprina e di volatili (fresche, refrigerate o congelate).

Altre ipotesi sono a loro volte contenute nelle norme “verticali”, cioè settoriali, in cui, per determinate categorie di alimenti, è richiesta l’indicazione di origine o provenienza: uova, miele, oli vergini d’oliva, prodotti ortofrutticoli e, naturalmente, prodotti della pesca freschi.

Ulteriore caso, più complesso, è invece descritto dall’art. 26, par. 2, lett. a), FICR, ove si richiede l’indicazione del Paese di origine o del luogo di provenienza di un alimento, qualora la sua omissione, tenuto conto di tutte le informazioni esposte, possa indurre in errore il consumatore in merito al vero Paese di origine o luogo di provenienza dell’alimento stesso.

Si pensi ad un pacco di biscotti al limone con un’immagine stilizzata del lago di Garda sullo sfondo, ma prodotti in Germania: ebbene, è obbligatorio specificare il “made in Germany” del prodotto. Nella diversa ipotesi di prodotto realizzato in Italia, evidentemente, il responsabile delle informazioni non sarebbe obbligato a fornire alcuna precisazione.

L’origine o la provenienza dell’ingrediente primario

Fatta tale premessa, veniamo ora all’obbligo di fornire al consumatore l’indicazione sull’origine/provenienza dell’ingrediente primario dell’alimento.

 

Cos’è l’ingrediente primario

L’ingrediente primario è definito dall’art. 2, par. 2, lett. q), del regolamento (UE) n. 1169/2011, come “ingrediente o gli ingredienti di un alimento che rappresentano più del 50 % di tale alimento o che sono associati abitualmente alla denominazione di tale alimento dal consumatore e per i quali nella maggior parte dei casi è richiesta un’indicazione quantitativa”.

L’ingrediente primario che rappresenta oltre il 50% del prodotto è detto “ingrediente primario quantitativo”, quello a cui il consumatore associa abitualmente il prodotto medesimo è l’“ingrediente primario qualitativo”.

Per quanto concerne la soglia del 50%, si fa riferimento alla quantità dell’ingrediente misurata al momento del suo impiego nella fabbricazione dell’alimento, in linea con il metodo utilizzato per determinare l’ordine nell’elenco degli ingredienti (art. 18 del regolamento (UE) n. 1169/2011).

Come illustrato anche dalle linee guida della Commissione sopra richiamate, in un prodotto può non esserci alcun ingrediente primario (ad esempio cracker multicereali dove nessuno supera il 50% del peso), essercene solo uno (una barretta di cioccolato extra fondente) o essercene anche più d’uno, i quali possono essere, naturalmente, tutti qualitativi o un solo quantitativo più altri qualitativi (tortelli ripieni di ricotta e spinaci).

 

 

La ratio del regolamento d’esecuzione

Il regolamento d’esecuzione, come si diceva, è apparentemente di facile lettura ma i problemi sottesi sono diversi e di non semplice soluzione.

Per prima cosa, occorre esaminarne la ratio e, alla luce di questa, cercare di dare una risposta logica e coerente ai vari quesiti che possono porsi.

 

L’intento di fondo della norma unionale è di far comprendere al consumatore medio, a cui venga prospettata una certa origine o provenienza dell’alimento, che in realtà l’ingrediente primario (o gli ingredienti primari) ha ben altra origine o provenienza. La regola però va applicata in maniera sensata. Il principio è infatti quello di evidenziare l’eventuale differente origine/provenienza dell’ingrediente primario rispetto all’alimento, solo se si tratta di una caratteristica che potrebbe modificare in misura determinante le scelte d’acquisto del consumatore. È dunque la rilevanza dell’informazione rispetto alle decisioni di quest’ultimo a dover orientare l’operatore responsabile nella scelta su quando e come eseguire l’obbligo imposto dalla norma.

 

Il principio della legittima e razionale aspettativa del consumatore

La valutazione dovrà essere fatta caso per caso, avendo riguardo alle aspettative dei consumatori, domandandosi se la fornitura dell’indicazione di origine/provenienza per un certo ingrediente (o per più ingredienti) sia suscettibile di incidere sostanzialmente sulle loro decisioni di acquisto o se, per contro, sarebbe fuorviante.

È chiaro che chiunque veda sullo scaffale di un supermercato una spremuta di arance rosse con la bandiera italiana, si aspetti legittimamente che la frutta sia di provenienza italiana e, se così non fosse, avrebbe il diritto di esserne messo al corrente.

 

Indicazione di luoghi irrilevanti rispetto all’ingrediente primario

Non vanno considerate idonee a far scattare l’obbligo di cui al regolamento d’esecuzione 2018/775 parole o immagini che abbiano sì una connotazione geografica, ma totalmente slegata dall’origine o provenienza dell’alimento, in quanto:

  • hanno un valore puramente pubblicitario (es. “La birra più venduta in Germania”, “L’integratore alimentare della nazionale italiana di scherma”, “Vinci una vacanza a Parigi”, “basato sulla ricetta tradizionale italiana…” ecc.);
  • sono indicazioni diventate ormai generiche, abituali o di fantasia (es. “Pesto alla genovese”, “Insalata russa”, “Amaro Montenegro“, “french fries”, ecc.);
  • si riferiscono all’indicazione obbligatoria dell’indirizzo dell’operatore responsabile delle informazioni al consumatore (e, in Italia, anche del confezionatore, se diverso dal produttore), a patto che non sia caratterizzata da un’enfasi particolare con l’obiettivo di catturare l’attenzione del consumatore;
  • costituiscono la denominazione legale dell’alimento (es. “London gin”) o una varietà vegetale o razza animale (es. “oliva taggiasca”, “Angus irlandese”, ecc.);
  • fanno parte del marchio di identificazione che accompagna l’alimento di origine animale conformemente al regolamento (CE) n. 853/2004.

Tutte le suddette valutazioni, in ogni caso, andranno effettuate caso per caso ponendosi dal punto di vista del consumatore medio di ciascun Paese membro in cui il prodotto è commercializzato.

 

L’irrilevanza dei luoghi indicati in una DOP/IGP

Il regolamento non si applica alle indicazioni geografiche qualificate (art. 1 par. 2°), in attesa di un ulteriore successivo regolamento di specificazione, ovvero:

  • DOP e IGP di cui al regolamento (UE) n. 1151/2012;
  • DOP E IGP vinicole di cui al regolamento (UE) n. 1308/2013;
  • indicazioni geografiche delle bevande spiritose stabilite dal regolamento (CE) n. 110/2008;
  • indicazioni geografiche dei prodotti vitivinicoli aromatizzati stabilite dal regolamento (UE) n. 251/2014;
  • altre indicazioni geografiche protette in virtù di accordi internazionali (CETA, JEFTA, EU-Singapore, EU-Messico, EU-Mercosur).

Esempio: Speck dell’Alto Adige IGP: si applica solo ed esclusivamente ciò che è previsto dal relativo disciplinare di produzione, che, nel caso specifico, non prescrive di fornire l’informazione sull’origine o la provenienza della carne di maiale.

Importante notare che la deroga in questione è ristretta alla sola menzione geografica contenuta nell’indicazione geografica qualificata e non si estende, invece, ad eventuali ulteriori elementi dell’etichettatura o del packaging del prodotto.

 

L’irrilevanza dei luoghi indicati in un marchio registrato

Il regolamento, inoltre, non si applica alle indicazioni del Paese di origine o del luogo di provenienza di un alimento, che fanno parte di marchi registrati, in attesa dell’adozione di norme specifiche. Da notare che si parla solo di marchi registrati (anche successivamente alla data di applicabilità del regolamento), pertanto l’eccezione in parola non è estendibile anche a quelli non registrati tutelati in via di fatto.

Esempio: Yogurt greco con marchio registrato che richiama colori e i fonemi della Grecia.

Anche per questa fattispecie, come visto nel paragrafo precedente, l’eccezione è limitata ai soli elementi geografici presenti nel marchio, e non si estendono ad altri eventualmente presenti nell’etichettatura del prodotto.

 

L’esclusione dei prodotti biologici

Infine, le regole oggetto del regolamento d’esecuzione non trovano applicazione ai prodotti biologici, soggetti ad una norma verticale di carattere speciale (fino al 31 dicembre 2021 il regolamento (CE) n. 834/2007, a partire dal 1° gennaio 2022 sarà, invece, il regolamento (UE) n. 2018/848, di cui abbiamo parlato in questa nostra guida).

Applicazione del regolamento UE 2018/775

Volendo dare una rappresentazione sintetica e pratica dei casi in un cui scatta l’obbligo di indicazione del Paese d’origine o luogo di provenienza dell’ingrediente primario ai sensi del nuovo regolamento d’esecuzione, possiamo dire che i casi sono essenzialmente tre:

  1. Primo caso (indicazione dell’origine/provenienza del prodotto obbligatoria, diversa da quella dell’ingrediente primario). Pacco di biscotti prodotto in Germania, contenente richiami figurativi all’Italia, impiegando farina turca: è obbligatorio dichiarare il “made in Germany ex art. 26, par. 2, lett. a), FIC e, oltre a ciò, vi è l’obbligo di specificare l’origine turca, o comunque diversa, della farina;
  2. Secondo caso (indicazione dell’origine/provenienza del prodotto facoltativa – indicata in modo esplicito – diversa da quella dell’ingrediente primario). Pacco di biscotti prodotti in Italia, che non presenta alcun richiamo all’Italia, né nel nome commerciale, né in altri simboli o disegni, impiegando farina turca: se il responsabile delle informazioni decide, del tutto facoltativamente, di scrivere “made in Italy“, dovrà obbligatoriamente precisare la diversa origine della farina;
  3. Terzo caso (indicazione dell’origine/provenienza del prodotto facoltativa – indicata in modo implicito – diversa da quella dell’ingrediente primario). Pacco di biscotti prodotto in Italia, recante richiami figurativi all’Italia, utilizzando farina turca: per quanto visto sopra, non è obbligatorio menzionare il “made in Italy“, ma, a prescindere dalla presenza o meno di tale informazione, occorre specificare la diversa origine della farina.

Da notare che l’obbligo di indicare origine/provenienza dell’ingrediente primario discende sempre e solo dalle due situazioni sopra esposte, ma non vale il contrario.

Per cui, indicata a titolo puramente facoltativo solo la provenienza di un ingrediente primario, non occorre specificare l’origine dell’alimento. Esempio: “torta con noci provenienti dalla California”, non vi è l’obbligo di dire che è stata prodotta in Spagna, a meno che non ricorrano i casi di cui all’art. 26, par. 2, FICR, come potrebbe essere se sull’etichettatura fossero raffigurati la bandiera americana o un simbolo della California, tali da indurre il potenziale compratore a ritenere che la torta sia stata fatta negli Stati Uniti e non, invece, nel Paese iberico.

 

Quando non si applica il regolamento

Vediamo due casi in cui, invece, non scattano gli obblighi in parola:

  • Caso A (origine/provenienza del prodotto facoltativa – non indicata nemmeno implicitamente – diversa da quella dell’ingrediente primario). Pacco di biscotti prodotto in Italia, che non contiene alcun richiamo all’Italia, né nel nome commerciale, né in altri simboli o disegni, impiegando farina turca: se il responsabile delle informazioni decidere di non specificare il “made in Italy“, non sarà tenuto a specificare nemmeno il Paese d’origine della farina.
  • Caso B (origine/provenienza del prodotto facoltativa – indicata in modo implicito – uguale a quella dell’ingrediente primario). Pacco di biscotti prodotto in Italia, contenente richiami figurativi all’Italia, impiegando farina italiana: in questa situazione ideale non occorre dare altre indicazioni al consumatore finale.
  • Caso C (origine/provenienza del prodotto facoltativa – indicata in modo esplicito – uguale a quella dell’ingrediente primario). Pacco di biscotti prodotto in Italia, è scritto “made in Italy” ed è impiegata farina italiana: in questa situazione ideale non occorre dare altre indicazioni al consumatore finale.

 

Caso particolare

Rimarrebbe scoperto solo un caso particolare:

  • Caso Omega (origine/provenienza del prodotto obbligatoria, uguale a quella dell’ingrediente primario). Pacco di biscotti prodotto in Turchia, contenente richiami figurativi all’Italia, impiegando farina turca: va indicato il “made in Turkey“, ma, a tenore del regolamento, non è necessario precisare l’origine/provenienza dell’ingrediente primario, visto che anche la farina è turca. È chiaro, però, che l’impatto visivo che può generare su un consumatore una raffigurazione molto forte dei simboli italiani è ben maggiore rispetto ad una semplice scritta “prodotto in Turchia“, con la conseguenza che, ai fini di una comunicazione pubblicitaria improntata alla correttezza, dovrebbe ritenersi anche in tale fattispecie obbligatorio precisare che la farina non è italiana.

 

Alcuni casi problematici

Nella definizione sopra ricordata di ingrediente primario, si è detto che esso è l’“ingrediente o gli ingredienti di un alimento che rappresentano più del 50 % di tale alimento o che sono associati abitualmente alla denominazione di tale alimento dal consumatore e per i quali nella maggior parte dei casi è richiesta un’indicazione quantitativa”.

Ingrediente primario e QUID

Viene fatto dunque un rimando alla regola del QUID (quantitative ingredient declaration), prevista dall’art. 22, par. 1°, FICR. Secondo tale regola, vi è l’obbligo di indicare la quantità di un ingrediente evidenziato in etichetta o nella denominazione dell’alimento, o comunque a cui generalmente il consumatore associa l’alimento stesso o ancora, infine, quando serve a distinguerlo da prodotti simili per aspetto o denominazione.

Volendo dare una regola pratica e semplice, se per un ingrediente si applica il QUID, è da considerarsi nella maggior parte dei casi come primario, ma ci possono essere eccezioni da valutarsi caso per caso (es. sfogliatine glassate: occorre indicare la quantità di zucchero glassato, ma questo non è un ingrediente primario, neppure qualitativo).

Ingrediente primario composto

Altra problematica riguarda l’ingrediente primario composto (art. 2, par. 2, lett. h, FICR), formato a sua volta da più ingredienti. In tale evenienza, l’operatore può decidere di fornire l’indicazione della diversa origine o provenienza dell’ingrediente composto o di specificare addirittura quella dei suoi componenti, laddove ciò abbia un senso per il consumatore di riferimento [es: filetti di Merluzzo impanato, oltre alla provenienza del Merluzzo, secondo la norma verticale, occorre indicare anche l’origine della panatura, ingrediente composto, ma non è necessario scendere nei dettagli di ogni suo componente (farina, olio, acqua, amido, latte, sale, lievito, ecc.)].

L’acqua

Infine, un caso particolare riguarda l’acqua come ingrediente.

In moltissimi alimenti è sicuramente l’ingrediente primario quantitativo (praticamente in tutte le bevande, comprese quelle alcoliche come la birra), ma in rari casi rappresenta un elemento significativo per la scelta d’acquisto del consumatore. Laddove lo sia, perché per esempio fornisce al prodotto caratteristiche del tutto particolari, va però applicato il regolamento UE 775/2018 (es.: sidro di mele analcolico dell’Alto Adige, in tal caso l’origine dell’acqua potrebbe avere una notevole importanza nella scelta di chi acquista il prodotto, aspettandosi di bere un qualcosa legato interamente ad un certo territorio).

 

 

Modi di indicazione dell’origine/provenienza dell’ingrediente primario.

L’art. 2 del regolamento di esecuzione stabilisce due modalità di indicazione dell’origine/provenienza dell’ingrediente primario:

  • a) riferimento ad un luogo geografico, il che può avvenire in termini generali – “UE”, “non UE”, “Ue e non UE”, oppure precisi, come il nome dello Stato o della località, regione, città, purché chiara per il consumatore medio, oltre ovviamente a quanto previsto da norme verticali, come la zona FAO per i prodotti della pesca. Se si impiegano i nomi di luoghi diversi, occorre che questi si riferiscano allo stesso livello geografico (Stati con Stati, città con città, ecc.).
    • Esempi: “Origine farina: Italia”, “Origine farina: Italia e Francia”, “Origine farina: UE”, “Origine farina: Italia e Canada”, “Origine farina: UE e non UE”, “con arance di Sicilia”, “con grano dei Balcani”, “con grano dai Balcani e dalla Crimea”, “con seppie del Mar Mediterraneo” ecc.
    • Esempi negativi: “Italia e non UE“, ma possibile specificare tra parentesi un livello di dettaglio più specifico accanto a quello più ampio, ad esempio “UE (Italia) e non UE“.
  • b) evidenza al solo fatto che il Paese di origine o il luogo di provenienza dell’ingrediente primario è diverso da quello dell’alimento.
    • Esempio: “Prodotto in Italia con farina non italiana”, “Prodotto in Italia con farina di diversa origine”, “Con farina non proveniente dall’Italia” ecc.

Come si può notare dagli esempi, vi è una certa flessibilità nella formulazione dell’indicazione, poiché ciò che conta è la chiarezza del suo significato per il consumatore medio e su questo la responsabilità è totalmente in capo all’operatore.

Rimane facoltà dell’operatore medesimo “approfondire” il messaggio rivolto ai consumatori, dando cioè maggiori dettagli sull’ingrediente primario, dove ha subito determinate lavorazioni, il fatto che l’origine possa variare in base alla stagione ecc..

 

 

Prescrizioni tecniche: dove inserire l’informazione, in che modo, con che dimensione

Dal punto di vista grafico, valgono le regole di cui al regolamento (UE) n. 1169/2011, previste per tutte le informazioni obbligatorie al consumatore: possibilità di utilizzare, in aggiunta alle parole, simboli, disegni, pittogrammi (art. 9, par. 2); visibilità; leggibilità; indelebilità; ecc. (art. 13, par. 1).

Fatte sempre salve queste regole generali, il regolamento d’esecuzione precisa poi che l’indicazione dell’origine/provenienza dell’ingrediente primario deve essere collocata nello stesso campo visivo dell’indicazione dell’origine/provenienza dell’alimento (art. 3, regolamento d’esecuzione) e, se quest’ultima si ripete in parti diverse dell’etichettatura, va parimenti riportata ogni volta quella relativa all’ingrediente.

Venendo, da ultimo, alla dimensione dei caratteri della dicitura prescritta dal regolamento in esame, l’altezza della “x” deve essere conforme ai minimi di cui all’art. 13, par. 2, FICR (almeno 1,2 mm, eccetto che per contenitori la cui superficie maggiore misura meno di 80 cm2, nel qual caso deve essere di almeno 0,9 mm) e comunque pari ad almeno il 75% di quella dell’indicazione dell’origine o della provenienza dell’alimento, se questa è stata fornita in maniera testuale.