Vediamo in questo articolo le caratteristiche e la normativa dei cosiddetti “alimenti funzionali” (functional foods), sempre più importanti per la nostra dieta ma anche per i fatturati aziendali.
Vedremo inoltre le differenze con gli integratori alimentari e i nutraceutici.
Gli alimenti funzionali: le caratteristiche
Gli alimenti funzionali sono nati ufficialmente nel 1988 in Giappone con l’introduzione sul mercato di una bevanda analcolica arricchita di fibra (FIBE MINE) da parte della Otsuka Pharmaceutical.
Da allora, le autorità disciplinarono una nuova categoria di alimenti, chiamata FOSHU (Food for Specified Health Uses) che, in Giappone, ebbe notevole successo in quanto consentiva di ottenere effetti favorevoli sulla salute delle persone, specialmente quelle meno giovani, con conseguente auspicato giovamento anche per la spesa sanitaria e assistenziale.
Si era così creata una nuova categoria di alimenti, caratterizzati da proprietà positive e addizionali rispetto agli effetti nutritivi, scientificamente accertate, grazie all’arricchimento o all’impiego di sostanze determinate.
Alcuni dei componenti caratteristici degli alimenti funzionali sono già contenuti naturalmente nell’alimento base ed è il caso degli alimenti funzionali naturali, come ad esempio la carne di salmone. In altri casi, invece, non si fa altro che aumentare la quantità naturale di sostanza già presente e si parla di alimenti funzionali arricchiti, come lo yogurt con l’aggiunta di prebiotici o probiotici. Se, invece, si aggiungono sostanze non naturalmente presenti, si ottengono alimenti funzionali supplementati, come latte a cui vengono aggiunti fitosteroli o Omega 3. Alcuni poi hanno individuato una quarta categoria (ma che può benissimo essere intesa come una sotto-categoria degli alimenti funzionali supplementati) rappresentata dagli alimenti fortificati, che sono cibi tradizionali di ampio consumo destinati a compensare una carenza alimentare diffusa nella popolazione: un esempio è il sale da cucina iodato.
Per essere più precisi, si tratta di:
Micronutrienti
vitamine C, D, E, gruppo B, minerali quali calcio, selenio, zinco
Macronutrienti
Olio di pesce o acidi grassi n-3, altri grassi monoinsaturi o polinsaturi, fibre
Antiossidanti
carotenoidi, polifenoli, favonoidi,
Probiotici
microorganismi vivi con effetto equilibratore sulla flora intestinale come i lattobacilli e i bifidobatteri
Prebiotici
componenti alimentari non digeribili in grado di stimolare la crescita di alcune specie batteriche saprofite del colon quali i fruttooligosaccaridi e l’inulina
Simbiotici
alimenti che contengono probiotici e prebiotici che agiscono in sinergia
Altri estratti vegetali
fitosteroli, fistostanoli ecc.
L’impatto positivo sull’organismo umano è, di fatto, globale e investe l’intero benessere psico-fisico.
I componenti attivi dei cibi funzionali possono infatti incidere sul miglioramento delle difese immunitarie, della salute cardiovascolare (esempio abbassando i livelli del colesterolo “dannoso” LDL) e di quella gastrointestinale (aumentando la diuresi e la depurazione dell’organismo), sul rallentamento dell’invecchiamento cellulare, sulla riduzione del rischio di malattie degenerative (alcuni componenti sono antitumorali), senza contare un contributo importante per combattere lo stress grazie ad azioni sulla sfera psichica (miglioramento delle performance psico-fisiche, cognitive e comportamentali).
Tali effetti rilevanti tra gli alimenti in esame e le funzioni cellulari, come sopra accennato, vanno previamente documentati e dimostrati scientificamente tramite test biologici, fisiologici, biochimici che possano, da un lato, confermare la relazione causa-effetto, e dall’altro, accertarne efficacia e sicurezza.
La differenza tra alimenti funzionali, integratori alimentari e nutraceutici
Se a prima vista gli scopi di un alimento funzionali appaiano simili o sovrapponibili a quelli di un integratore alimentare, le due tipologie differiscono quanto alla forma e alla proprietà nutrizionali.
Gli integratori (disciplinati a livello europeo dalla dir. n. 2002/46/CE, e, in Italia, dal D. Lgs. 21 maggio 2004, n. 169), infatti, si presentano in forme “compatte” quali polveri, capsule, barrette, gel ecc. e hanno un apporto calorico scarso. Come suggerisce il significato del loro nome, essi integrano una normale dieta, non si sostituiscono ad essa.
Gli alimenti funzionali, invece, sono alimenti comuni, assunti normalmente nel corso della giornata come parte della propria dieta ma che, appunto, presentano tenori di sostanze utili particolarmente elevati e tali da incidere sul benessere e sulla salute dell’individuo che li consuma.
I nutraceutici, infine, sono degli integratori alimentari dove però le sostanze attive di origine naturale (ottenute soprattutto da ortaggi, frutta, legumi) vengono altamente purificate e concentrate a tutto beneficio della loro efficacia, utilizzando tecniche prese “in prestito” dall’industria farmaceutica (da cui il nome di nutra-ceutica, ideato dal dr. Stephen DeFelice nel 1989).
Nei nutraceutici, dunque, a differenza che nei comuni integratori, lo scopo è quello di far assumere al consumatore sostanze che normalmente già assume con la normale dieta, ma in quantità maggiori e concentrate grazie alla loro sintesi forma farmaceutica (capsule, pasticche o altro).
Si può dire, pertanto, che il tratto saliente che vale a caratterizzare i cibi funzionali è che questi sono alimenti a tutti gli effetti, consumati normalmente e nel corso della normale dieta e a cui vengono aggiunte funzionalità ulteriori rispetto a quelle nutritive di base.
In nessuno di questi casi (cibi funzionali, integratori alimentari e nutraceutici), chiaramente, si parla di effetti terapeutici, ovvero non di prevenzione di malattie, bensì di cura delle stesse: in tal caso si cadrebbe nella categoria dei farmaci.
Gli alimenti funzionali: la normativa
Oggi gli alimenti funzionali arricchiti e supplementati sono disciplinati a livello unionale dal regolamento (CE) n. 1925/2006, che riguarda, più in dettaglio, l’“aggiunta di vitamine e minerali e di talune altre sostanze agli alimenti”.
Partiamo con le vitamine e sali minerali.
Senza scendere troppo nei dettagli, si evidenzia che “solo le vitamine e/o i minerali elencati nell’allegato I, nelle forme elencate nell’allegato II, possono essere aggiunti agli alimenti” (art. 3) e ciò con l’obiettivo di sopperire alla “carenza di una o più vitamine e/o minerali nella popolazione o in gruppi specifici di popolazione” (par. 2 lett. a), “carenza di una o più vitamine e/o minerali nella popolazione” (par. 2 lett. b), adeguarsi all’“evoluzione di conoscenze scientifiche generalmente accettabili riguardo al ruolo nutrizionale delle vitamine e dei minerali e ai conseguenti effetti sulla salute” (par. 2 lett. c).
Al di là degli obiettivi programmatici, di interesse per le aziende produttrici è che possono essere aggiunte sostanze che rispettino determinati criteri di purezza (art. 5). Ad oggi non esistono criteri valevoli a livello europeo per gli alimenti addizionati o arricchiti e si deve pertanto guardare a quanto già previsto dal regolamento 1333/2008 sugli additivi alimentari, e, per le sostanze che non vi dovessero figurare, a eventuali normative nazionali più severe o a standard internazionali accettati scientificamente.
Importante è tenere a mente i divieti di aggiunta di vitamine e minerali, che riguardano i prodotti alimentari non trasformati, come frutta, verdura, carne, gli alcolici ed eventualmente altri che verranno determinati dalla Commissione Europea (art. 4).
Venendo al quesito fondamentale delle quantità di sostanze che si possono aggiungere o addizionare agli alimenti, occorre fare una distinzione tra i livelli minimi e quelli massimi.
Per quanto concerne i primi, è necessario che la sostanza aggiunta compaia in misura significativa, o meglio, nella misura strettamente necessaria per poter provocare nell’organismo dell’assuntore l’effetto desiderato e pubblicizzato.
L’art. 6 paragrafo 6° del regolamento 1925/2006 afferma soltanto che “quantità minime, comprese eventuali quantità inferiori, per specifici alimenti o categorie di alimenti, sono adottate, in deroga alle quantità significative sopra menzionate secondo la procedura di cui all’articolo 14, paragrafo 2”.
Ad oggi, tale procedura non risulta essere stata ancora attivata per le quantità minime.
In questo senso, allora, almeno per quanto riguarda vitamine e sali minerali, la norma da guardare è quella del FIC (regolamento (UE) 1169/2011 “Food Information to Consumers”), nel quale l’Allegato XIII – Consumi di riferimento – alla parte A, reca i “Consumi di riferimento giornalieri per vitamine e sali minerali”.
L’aggiunta deve conferire all’alimento addizionato un tenore significativo di vitamine e/o dei minerali tale da superare i livelli minimi (come quantità totale) secondo Reg. UE 1169/2011, 15% VNR (solidi) 0 7.5% (bevande).
Sui valori massimi, l’art. 6 ai paragrafi 1° e 3° prevede che siano fissati secondo la procedura di cui all’articolo 14, paragrafo 2° tenendo conto dei “livelli più elevati di sicurezza stabiliti per le vitamine e i minerali, nonché dell’“apporto di vitamine e minerali da altre fonti alimentari”, del “contributo di singoli prodotti al regime alimentare globale della popolazione in generale o di sottogruppi di popolazione” e del “profilo nutrizionale del prodotto, stabilito in base alle disposizioni del regolamento (CE) n. 1924/2006” criterio quest’ultimo rimasto ancora inattuato).
Il paragrafo 2° del medesimo articolo, inoltre, apre alla possibilità che, con la medesima procedura, vengano determinate eventuali condizioni che limitino o vietino l’aggiunta di una vitamina o un minerale specifico ad un alimento o ad una categoria di alimenti.
In entrambi i casi, tale procedura non è mai stata attuata.
Come dovrebbe comportarsi allora l’operatore alimentare?
Si applica la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) sugli integratori alimentari, e secondo la quale, essendo i limiti massimi dei micronutrienti non armonizzati a livello europeo, è possibile per gli Stati intervenire con normazione interna, da emanare comunque nel rispetto dei del regolamento.
In Italia si seguono le linee guida del Ministero della Salute per i valori massimi di vitamine e sali minerali per gli integratori, rinvenibili al seguente link.
Chiaramente esse vincolano soltanto gli OSA che producono alimenti funzionali arricchiti o addizionati in Italia, pur tenendo a mente, naturalmente, che per il principio del mutuo riconoscimento, detti prodotti possono circolare liberamente in tutto il territorio dell’Unione Europea. A tal proposito, si veda anche l’art. 10 del regolamento – Libera circolazione delle merci – “gli Stati membri non possono limitare o vietare il commercio di alimenti che siano conformi a quanto disposto nel presente regolamento e negli atti comunitari adottati per la sua esecuzione attraverso l’applicazione di disposizioni nazionali non armonizzate che regolino l’aggiunta di vitamine e minerali agli alimenti”, fatta salva la possibilità di porre in essere misure di salvaguardia restrittive provvisorie (art. 13).
Abbiamo visto finora condizioni, limiti, divieti e quantità minime e massime di vitamine e sali minerali che si possono aggiungere ad un alimento.
Per tutte le altre sostanze, la disciplina è prevista dall’art. 8 del regolamento che, annotazione importante, si applica anche agli integratori alimentari.
A differenza di quanto visto sui micronutrienti, non vi è un elenco di sostanze ammesse, ma, al contrario, un elenco di quelle vietate o sottoposte a restrizioni (approccio negativo). Ciò significa che, in linea di principio, sono tutte ammesse, a meno che non ricadano nella disciplina dei novel food (vedi regolamento UE 2015/2283, di cui abbiamo parlato in questo articolo).
Se non si tratta di un novel food (ovvero è stato utilizzato come alimento all’interno dell’Unione Europea almeno dal 1997) ma rimangono dei dubbi sulla sua sicurezza, la Commissione, di sua iniziativa o su impulso di uno Stato membro, sulla base del parere dell’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA), può vietarla o limitarla.
A tal fine, nell’allegato III del regolamento sono previste tre parti: la parte A che contiene l’elenco delle sostanze la cui addizione ad un alimento è vietata; la parte B in cui vi sono le sostanze il cui utilizzo è sottoposto a condizioni precise; la parte C, infine, per quelle sostanze i cui effetti nocivi siano oggetto di studi e dibattiti scientifici e che, pertanto, devono essere utilizzate in certe condizioni e monitorate.
Successivamente, se emergono prove sulla sicurezza di una delle sostanze della parte C (presentate da uno Stato Membro o da un privato interessato) e comunque dopo 4 anni dal momento in cui è stata inserita nell’elenco, la Commissione può autorizzarla in maniera generalizzata, o vietarla del tutto (inserendola nell’elenco della parte A), o sottoporne l’utilizzo a precise prescrizioni (inserendola nell’elenco della parte B).
La procedura da seguire in tutti questi casi è quella disciplinata dal regolamento di esecuzione (UE) n. 307/2012 della Commissione, dell’11 aprile 2012, recante norme d’esecuzione dell’articolo 8 del regolamento (CE) n. 1925/2006.
Tale procedura è stata attuata per la prima volta con il Regolamento (UE) 2015/403 del Parlamento europeo e del Consiglio che ha aggiunto alla parte A dell’allegato III «Parti aeree dell’efedra e preparazioni a base di specie di Ephedra», mentre nella parte C è aggiunta la seguente voce: «Corteccia di yohimbe e sue preparazioni derivanti dallo yohimbe [Pausinystalia yohimbe (K. Schum) Pierre ex Beille]»
Di recente, poi, è stato emesso il Regolamento (UE) 2019/649 della Commissione, del 24 aprile 2019, ha aggiunto gli acidi grassi trans nella parte B dell’allegato III.
Per agevolare un monitoraggio efficace degli alimenti ai quali sono stati aggiunti minerali e vitamine, e degli alimenti contenenti sostanze elencate nell’allegato III, parti B e C, gli Stati membri possono prescrivere che il produttore o il responsabile dell’immissione in commercio di tali alimenti nel loro territorio notifichi all’autorità competente tale immissione in commercio fornendo un campione dell’etichetta utilizzata per il prodotto.

Come per vitamine e sali minerali, occorre prestare attenzione a quantitativi minimi e massimi.
Per i primi, non esistono, nemmeno nel regolamento 1169/2011, indicazioni di sorta, se non il rispetto generale del principio di lealtà delle informazioni al consumatore (articoli 7 e 36), per cui non è possibile reclamizzare proprietà particolari se la sostanza da cui queste dipendono non è presente in misura necessaria per poterlo causare nell’organismo di chi assume l’alimento.
Inoltre, a tal ultimo proposito, occorre prestare attenzione al fatto che i claim salutistici sono disciplinati dal regolamento (CE) 1924/2006 e non è possibile impiegare alcuna dicitura che non sia contemplata dalla norma.
Viceversa, i livelli massimi sono rinvenibili in linee guida o decreti ministeriali, cogenti solo per gli operatori che producano in Italia.
Tra questi, si elencano i seguenti:
Sostanze e preparati vegetali ammessi
Sostanze e preparati vegetali NON ammessi
Altre sostanze ad effetto nutritivo o fisiologico
Linee guida ministeriali relative all’impiego di probiotici e prebiotici
Decreto del Ministero 10 agosto 2018 per botanical
Tanto per fare un esempio di una sostanza in voga, le Linee guida ministeriali relative offrono la possibilità di aggiungere probiotici agli alimenti come lo yogurt indicando una dose giornaliera raccomandata pari a 10^9 cellule vive per almeno uno dei ceppi presenti (Streptococcus thermpophilus e Lactobacillus bulgaricus).
In tale condizioni, per altro, risulterà poi possibile riferire il claim salutistico “Favorisce l’equilibrio della flora intestinale”.
La difficoltà, rispetto a quanto visto per sali minerali e vitamine, il cui elenco è comunque armonizzato a livello europeo (rimanendo alla discrezionalità dei singoli Stati Membri solo la definizione delle concentrazioni massime), è che le altre sostanze non hanno un elenco comune.
Ci si domanda, pertanto, se sia possibile che uno Stato Membro possa impedire l’ingresso sul proprio territorio di un alimento arricchito o potenziato con una sostanza ammessa nel diverso Stato Membro in cui è stato prodotto.
La risposta, in poche parole, è affermativa (si veda sentenza CGUE, sez. IV, 19 gennaio 2017, C-282/15 “Queisser Pharma”).
In ogni caso, a partire dalla data di applicazione del regolamento 1925/2006 (1° luglio 2007) gli Stati Membri sono tenuti a notificare alla Commissione UE tutte le norme interne approvate successivamente che vietino o restringano l’uso talune sostanze nella produzione di determinati alimenti (art. 11 paragrafo 2°).
Anche per queste sostanze, è sempre possibile, a determinate condizione, imporre restrizioni sulla base di misure di salvaguardia temporanee adottate secondo l’art. 13.
Etichettatura, presentazione e pubblicità
L’art. 7 del regolamento 1925/2006 detta la disciplina integrativa al consumatore per gli alimenti funzionali addizionati o arricchiti (non per quelli naturali ovviamente).
La base di partenza rimane pur sempre il regolamento generale 1169/2011, ma con le particolarità previste dalla normativa specifica in esame.
In primo luogo, è fatto divieto di utilizzare diciture che “affermino o sottintendano che una dieta equilibrata e variata non è in grado di apportare adeguate quantità di sostanze nutritive” (salvo possibili deroghe, mai concesse).
Inoltre, il consumatore non va tratto in inganno facendogli credere che le proprietà nutritive dell’alimento siano dovute a sue caratteristiche naturali e non dipendano, invece, dalla specifica aggiunta di sostanze.
Nel caso siano aggiunti sali minerali o vitamine, è sempre obbligatoria la dichiarazione nutrizionale, anche laddove, ai sensi del regolamento 1169/2011, potrebbe essere omessa (v. allegato V).
In tale ultimo caso, inoltre, e secondo quando previsto dal regolamento (CE) 1924/2006, è possibile aggiungere volontariamente una dichiarazione nutritiva o sulla salute.
Immissione in commercio
L’immissione in commercio degli alimenti funzionali arricchiti, supplementati o addizionati è subordinata alla procedura di notifica dell’etichetta al Ministero della Salute, come confermato dalla Circolare ministeriale del 6 marzo 2008, n. 4075-P.
Sanzioni
Non esiste normativa sanzionatoria specifica per la violazione delle disposizioni del regolamento (CE) 1925/2006, trovando dunque applicazione di volta in volta la sanzione prevista per l’illecito commesso.
In alcuni casi si può trattare di immissione in commercio di un alimento non sicuro (tra cui legge n. 283/1962 e d. lgs. 5 aprile 2006, n. 190, in altri casi di informazione al consumatore decettiva (d. lgs. 231/2017).