Skip links

Guida alla direttiva UE sui green claim [ITA]

Guida alla direttiva UE sui green claim: in questo articolo tratteremo la proposta di direttiva sulle asserzioni ambientali (“Green Claims Directive“, in seguito anche solo ‘Direttiva’), fornendo suggerimenti pratici per gli operatori. Breve nota sul lessico: utilizzeremo indistintamente le espressioni “green claim“, “asserzioni ambientali” e “rivendicazioni“.

Qui è possibile visionare, in italiano, il testo originale della proposta della Commissione UE; come di consueto, aggiorneremo questa guida quando il testo definitivo sarà stato concordato in sede di trilogo.

Vi ricordiamo inoltre di consultare il nostro precedente articolo sui claim ambientali ed etici impiegabili in Italia, articolo che resterà valido nei suoi contenuti fino a che la nuova direttiva sarà in vigore e attuata nel diritto italiano.

 

Premessa: la modifica delle direttive sui diritti dei consumatori

La Direttiva va letta avendo riguardo ad un’altra proposta di direttiva, che si prefigge di rafforzare i diritti dei consumatori nell’ambito della transizione verde, andando a modificare le direttive 2005/29/CE (relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori) e 2011/83/UE (sui diritti dei consumatori).

La proposta (si veda qui il testo originario della Commissione, con il suo Allegato I) è stata già approvata dal trilogo (19 settembre 2023) e si trova pertanto in una fase più avanzata rispetto a quella analizzata nel presente articolo.

Relativamente alla tematica dei green claim, tale proposta di direttiva:

  1. fornisce la definizione di green claim, ossia un “messaggio o dichiarazione avente carattere non obbligatorio a norma del diritto dell’Unione o del diritto nazionale, compresi testi e rappresentazioni figurative, grafiche o simboliche, in qualsiasi forma, tra cui marchi, nomi di marche, nomi di società o nomi di prodotti, che asserisce o implica che un dato prodotto o professionista ha un impatto positivo o nullo sull’ambiente oppure è meno dannoso per l’ambiente rispetto ad altri prodotti o professionisti oppure ha migliorato il proprio impatto nel corso del tempo” [Articolo 1(1)];
  2. vieta di esibire marchi di sostenibilità non certificati o non stabiliti da autorità pubbliche [Allegato I(1)];
  3. vieta le asserzioni ambientali generiche, a meno di una comprovata eccellenza delle prestazioni ambientali del professionista/prodotto reclamizzato e, in ogni caso, laddove le prestazioni ambientali migliori riguardino solo un aspetto specifico [Allegato I(2)];
  4. vieta le dichiarazioni basate su schemi di compensazione delle emissioni CO2 che attestano che un prodotto ha un impatto neutro, ridotto o positivo sull’ambiente.

 

Ambito di applicazione della Direttiva sui green claim

I green claim, da intendersi secondo la definizione sopra riportata, si sono sviluppati in un contesto normativo non completamente armonizzato e la mancanza di uno standard comune specifico ha portato ad asserzioni non sufficientemente documentate o basate su metodi di calcolo imprecisi/non verificabili. In particolare, il quadro normativo (di carattere generico) a cui ci riferiamo è costituito dalle direttive 2005/29/CE e 2006/114/CE, che regolamentano rispettivamente le pratiche commerciali business-to-consumers (“B2C“) e la pubblicità comparativa, stabilendo i principi di massima di ogni forma di comunicazione ai consumatori, tra cui quello per cui la pubblicità deve essere chiara, specifica, non ambigua ed accurata.

L’obiettivo della Direttiva in esame, dunque, è quello di creare un contesto regolatorio specifico su principi e metodi a supporto delle asserzioni ambientali, garantendo ai consumatori informazioni affidabili, complete e comparabili, così che possano effettuare scelte di acquisto consapevoli. La Direttiva, infatti, si applica esclusivamente alla comunicazione B2C.

Essa, inoltre, copre solo le tematiche di sostenibilità ambientale, con esclusione della sostenibilità economica e sociale.

La Direttiva, infine, disciplina solo i claim espliciti, ossia quelli ove l’asserzione ambientale appare in forma testuale o è riportata in un marchio ambientale.

 

I principi fondamentali della direttiva sui green claim

Innanzi tutto, le asserzioni ambientali, essendo formulate da un professionista e rivolte ai consumatori nell’ambito di un rapporto commerciale, devono rispettare i requisiti generali di cui alla già citata direttiva 2005/29/CE, ossia debbono essere chiare, specifiche, non ambigue ed accurate.

Ciò detto, la Direttiva rivoluziona il sistema attuale, basato su asserzioni libere, auto-certificate e certificate, imponendo che tutti i claim ambientali espliciti siano  dapprima valutati dal professionista che intenda utilizzarli, per poi essere certificati da appositi enti terzi accreditati. Inoltre, un documento contenente la sintesi della valutazione (in una lingua facilmente comprensibile al consumatore) e la certificazione deve essere messo a disposizione del pubblico fisicamente o attraverso un link, codice QR o altro sistema equivalente. Il claim dovrà poi essere riesaminato in caso di nuove informazioni rilevanti per la sua validità e, comunque, almeno una volta ogni cinque anni dalla pubblicazione del suddetto documento.

Il procedimento da seguire per utilizzare correttamente i green claim

La Direttiva stabilisce quattro fondamentali doveri per il corretto utilizzo delle asserzioni ambientali:

  • (i) attestazione (articoli 3 e 4);
  • (ii) requisiti di comunicazione (articoli 5 e 6).
  • (iii) revisione (articolo 9);
  • (iv) verifica e certificazione (articolo 10).

La Commissione UE è delegata ad adottare propri regolamenti per integrare ciascuna di tali categorie.

Attestazione

Per essere certificate, le asserzioni ambientali devono essere sottoposte ad un processo di valutazione condotto dal professionista interessato, volto a dimostrare che tali asserzioni sono:

  • precise, nel senso di definire con chiarezza l’impatto, l’aspetto o la prestazione ambientale vantata, ad esempio distinguendo riduzioni, assorbimenti e compensazioni delle emissioni di gas a effetto serra;
  • scientificamente fondate e accurate, basandosi, laddove possibile, su informazioni primarie, ossia dati misurati o informazioni raccolte direttamente dal professionista;
  • significative dal punto di vista del ciclo di vita del prodotto;
  • oneste, nel senso di tener conto di tutti gli aspetti o impatti ambientali significativi del professionista/prodotto, non rimarcando miglioramenti di alcuni aspetti se, contestualmente, vi siano svantaggi ambientali significativi in altri aspetti;
  • non scontate, ossia non vantare la conformità a obblighi di legge.

Il professionista, in sostanza, dovrà raccogliere i dati scientifici necessari a supporto della rivendicazione, effettuare gli opportuni calcoli o studi e formulare una conclusione coerente circa gli impatti, gli aspetti o le prestazioni ambientali della propria attività o del prodotto oggetto della rivendicazione stessa.

Per i claim comparativi, ossia le asserzioni che affermano o inducono a ritenere che un prodotto o un professionista abbiano impatti ambientali maggiori o minori, o prestazioni ambientali migliori o peggiori, rispetto ad altri professionisti o prodotti, vi sono ulteriori prescrizioni volte a garantire la correttezza della comparazione. In particolare, è richiesta l’equivalenza di dati e informazioni utilizzati, dei metodi di estrapolazione di tali dati/informazioni e degli aspetti ambientali comparati.

Comunicazione

Un aspetto innovativo della Direttiva è che l’asserzione ambientale utilizzata debba essere accompagnata da un documento in formato fisico o accessibile pubblicamente tramite un link o codice QR o sistema equivalente contenente:

  • informazioni sul prodotto/professionista oggetto dell’asserzione ambientale;
  • aspettiimpatti e prestazioni ambientali oggetto dell’asserzione;
  • norme UE o internazionali applicabili;
  • studi e calcoli utilizzati per valutare, misurare e monitorare gli impatti, aspetti e prestazioni ambientali oggetto dell’asserzione;
  • una breve spiegazione del modo in cui sono stati conseguiti i miglioramenti oggetto dell’asserzione;
  • il certificato di conformità e i recapiti del verificatore che lo ha redatto;
  • per le asserzioni relative alle emissioni di gas a effetto serra, informazioni precise su compensazioni, riduzioni o assorbimenti delle emissioni;
  • una sintesi della valutazione comprensibile per i consumatori in almeno una delle lingue ufficiali dello Stato Membro in cui è presentata l’asserzione.

Sempre in tema di modalità di comunicazione, la Direttiva disciplina specificamente alcune ipotesi:

  • nel caso di prestazioni ambientali future, occorre fornire dei parametri temporali precisi a cui vincolare i miglioramenti;
  • se l’uso del prodotto rientra tra le fasi del ciclo di vita più rilevanti per le sue prestazioni ambientali, occorre informare il consumatore sulle corrette modalità di utilizzo al fine di conseguire le prestazioni ambientali attese;
  • nei claim comparativi, se il prodotto oggetto di comparazione non è più sul mercato o se si tratta di un concorrente che non vende più ai consumatori, la rivendicazione è possibile solo se si basa su elementi che dimostrino che il miglioramento ambientale è significativo ed è stato realizzato negli ultimi cinque anni.

Riesame

Le asserzioni ambientali non vanno intese come statiche e immutabili, in quanto devono sempre riflettere i reali impatti, aspetti e prestazioni ambientali a cui si riferiscono. Per tale ragione, i professionisti sono obbligati a riesaminare le proprie asserzioni ogniqualvolta emergano dati rilevanti per la loro validità e, comunque, almeno una volta ogni cinque anni da quando è stato fornito il documento menzionato nel paragrafo precedente. Al termine della revisione, occorrerà una nuova verifica da parte del terzo verificatore.

Verifica

Come detto, architrave della Direttiva è l’obbligo per gli operatori di far verificare (ossia certificare) le rivendicazioni ambientali impiegate per reclamizzare la propria attività o i propri prodotti. La verifica deve essere effettuata da un verificatore terzo accreditato a norma del regolamento (CE) n. 765/2008. Il verificatore, in caso di esito positivo, rilascerà un certificato di conformità che è riconosciuto dalle autorità competenti di tutti gli Stati Membri.

Marchi ambientali

Sui marchi ambientali, la Direttiva è improntata alla chiarezza e armonizzazione (articoli 7 e 8).

I marchi ambientali sono un gruppo speciale di asserzioni ambientali esplicite (e, pertanto, devono soddisfare i requisiti sopra elencati) e assumono la forma di marchi di fiducia o di qualità che evidenziano un determinato aspetto ambientale positivo. A volte questi marchi vengono rilasciati dopo un processo di certificazione, chiamato “schema di etichettatura ambientale“.

Senza entrare troppo nel dettaglio, è sufficiente sottolineare che, a partire dalla data di recepimento della direttiva (18 mesi dopo la sua entrata in vigore), i sistemi pubblici nazionali e regionali (di Stati Membri e Paesi terzi) di etichettatura ambientale già istituiti potranno assegnare i rispettivi marchi ambientali solo se conformi alla Direttiva. I nuovi schemi, invece (quelli, cioè, che saranno istituiti dopo la suddetta data) potranno essere approvati solo dalle autorità competenti degli Stati membri (nel caso di schemi privati) o dalla Commissione europea (nel caso di schemi pubblici di Paesi terzi) e solo se forniscono un valore aggiunto rispetto agli schemi esistenti. Non sono ammessi nuovi schemi nazionali/regionali degli Stati membri.
È importante notare che solo i marchi associati ai nuovi schemi UE sono autorizzati a presentare un rating/punteggio ambientale basato su un indicatore aggregato, il quale, per altro, dovrà essere calcolato secondo metodi ufficiali UE.

La Direttiva definisce inoltre i criteri per i sistemi di certificazione dei marchi ambientali, così come la documentazione necessaria per richiedere l’approvazione di tali sistemi da parte della Commissione e degli Stati Membri.

La Commissione UE, infine, pubblicarà e aggiornarà costantemente l’elenco dei marchi ambientali (pubblici e privati) utilizzabili nell’UE e conformi alla Direttiva.

 

Controlli

I controlli ufficiali sulle asserzioni ambientali saranno condotti dalle autorità competenti degli Stati Membri, che dovranno avere sufficienti poteri di indagine e di intervento, anche sul commercio elettronico (articoli 13-16).

I controlli potranno essere pianificati oppure attivati dall’acquisizione di notizie sulla violazione della normativa da parte dei professionisti.

A sollecitare l’intervento delle autorità, per altro, potrebbero essere anche i reclami fondati e motivati presentati da persone fisiche o giuridiche o organizzazioni (legittimate secondo il diritto UE o nazionale). Le autorità hanno il dovere di valutare tali reclami in modo serio e documentato; a tal fine, le parti che hanno presentato il reclamo devono avere accesso ad un organo giurisdizionale o ad altro organo pubblico indipendente e imparziale che abbia competenza a riesaminare la legittimità procedurale e sostanziale delle decisioni dell’autorità sui reclami.

 

Sanzioni

Le sanzioni per i trasgressori, anch’esse stabilite a livello nazionale, dovranno essere efficaci, dissuasive e proporzionate, considerando la forza finanziaria del professionista ritenuto responsabile, la natura e la gravità della violazione, i vantaggi economici derivanti dalla violazione e il danno ambientale da essa causato (articolo 17). Come ormai accade per quasi tutti i nuovi testi normativi unionali, anche la Direttiva impone che le sanzioni pecuniarie debbano essere pari nel loro massimo editale ad almeno il 4 % del fatturato annuo del professionista nello Stato Membro o negli Stati Membri interessati. Altre sanzioni che devono essere previste nelle norme nazionali di attuazione sono la confisca dei proventi connessi con i prodotti interessati dall’asserzione ambientale illecita e l’esclusione temporanea del professionista responsabile, per un periodo massimo di 12 mesi, dalle procedure di appalto pubblico e dall’accesso ai finanziamenti pubblici, comprese procedure di gara, sovvenzioni e concessioni.

È interessante notare la previsione di una sorta di “diffida“, in virtù della quale quando le autorità competenti rilevano la violazione delle disposizioni di attuazione della Direttiva, notificano al professionista responsabile dell’asserzione la non conformità, imponendogli di adottare tutte le misure correttive del caso entro 30 giorni.

 

Esclusione per le microimprese e facilitazioni per le PMI

Un’importante esclusione dagli obblighi della Direttiva è prevista per le microimprese, definite dalla Raccomandazazione della Commissione  2003/361/CE come quelle imprese che occupano meno di 10 dipendenti e realizzano un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a 2 milioni di euro. Le microimprese possono comunque sottoporre volontariamente le proprie asserzioni ambientali alla certificazione prevista dalla Direttiva e, in tal caso, dovranno osservarne le relative disposizioni [articolo 10(3)].

Per quanto riguarda le imprese medie e piccole, invece, non è prevista alcuna deroga, ma gli Stati Membri dovranno adottare misure specifiche per assisterle, tra cui, necessariamente, la redazione di apposite linee guida e, opzionalmente, anche aiuti economici e tecnico-organizzativi (articolo 12).

 

Interazione con altre normative

La tematica della sostenibilità ambientale di prodotti è complessa e va letta alla luce anche di altre normative euro-unitarie, quali:

In generale, come detto, tutte le asserzioni ambientali B2C rientrano nell’ambito di applicazione della Direttiva, ma se un operatore utilizza un’asserzione che si riferisce ad aspetti specificamente coperti da un altro atto legislativo più specifico, questo si applica in forza del principio di specialità. Ad esempio, se la rivendicazione fa riferimento all’ecodesign di un prodotto, si deve tenere conto del Regolamento sulla progettazione ecocompatibile dei prodotti sostenibili.

 

Entrata in vigore ed applicazione della direttiva sui green claim

Il 3 aprile la proposta di Direttiva è stata discussa in Consiglio dell’Unione Europea dal ‘Gruppo di lavoro sull’ambiente’ e dal ‘Gruppo di lavoro sulla protezione e l’informazione dei consumatori’.
Il 23 maggio il testo è stato esaminato dal Parlamento Europeo nella ‘Commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori’ (IMCO). Durante le discussioni, gli eurodeputati hanno sollevato una serie di questioni al testo originario della Commissione, qui commentato, come ad esempio la necessità di garantire la corretta attuazione della normativa vigente in materia di tutela dei consumatori e la necessità di limitare l’onere amministrativo per le imprese, comprese le piccole e medie (PMI).

La proposta dovrà ora essere negoziata nell’ambito del ‘trilogo’ (Commissione, Parlamento, Consiglio dell’UE) prima di essere formalmente votata dal Parlamento nella sua versione finale e licenziata dal Consiglio. La Direttiva entrerà in vigore il ventesimo giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, mentre gli Stati Membri avranno 18 mesi dall’entrata in vigore per attuarla nel proprio ordinamento interno. Per quanto concerne l’applicazione delle disposizioni nazionali così introdotte (tra cui, quelle relative alle sanzioni), la data di inizio sarà di 24 mesi dall’entrata in vigore della Direttiva.

Si prega di osservare che la Direttiva non entrerà in vigore prima del 2024 inoltrato / inizio 2025, il che significa che, nel migliore dei casi, le disposizioni di nazionali di attuazione non saranno applicabili prima di fine 2026 / inizi 2027.