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Alimenti oltre la shelf life: cosa farne

Alimenti oltre la shelf life: cosa farne, tra donazione ad enti caritatevoli, utilizzo o trasformazione come mangime e, infine, smaltimento come rifiuto.

La lotta allo spreco alimentare è certamente incentivata dall’emergente attenzione del legislatore euro-unitario e nazionale, ma non può prescindere dalla responsabilità (nel senso di responsibility) degli Operatori del Settore Alimentare (O.S.A.) di immettere sul mercato alimenti sicuri, ossia non dannosi (nel breve e lungo termine, valutati anche gli effetti cumulativi, persino con riguardo ai discendenti) e adatti al consumo umano (cfr. artt. 14 e 17, regolamento (CE) 178/2002 – “General Food Law”).

 

 

Lotta allo spreco alimentare

Sul tema, per l’Italia il testo da consultare è la legge n. 166/2016 – “Disposizioni concernenti la donazione e la distribuzione di prodotti alimentari e farmaceutici a fini di solidarietà sociale e per la limitazione degli sprechi”, detta anche “legge Gadda”.

Il principio è semplice: le eccedenze alimentari non vanno sprecate, ma, se possibile, prioritariamente donate ad enti che si occupano della cura e dell’assistenza degli indigenti.

 spreco alimenare

Definizione di eccedenza alimentare (l. 166/2016, art. 2, co. 1, lett. c):

i prodotti alimentari, agricoli e agro-alimentari che, fermo restando il mantenimento dei requisiti di igiene e sicurezza del prodotto, sono, a titolo esemplificativo e non esaustivo: invenduti o non somministrati per carenza di domanda; ritirati dalla vendita in quanto non conformi ai requisiti aziendali di vendita; rimanenze di attività promozionali; prossimi al raggiungimento della data di scadenza; rimanenze di prove di immissione in commercio di nuovi prodotti; invenduti a causa di danni provocati da eventi meteorologici; invenduti a causa di errori nella programmazione della produzione; non idonei alla commercializzazione per alterazioni dell’imballaggio secondario che non inficiano le idonee condizioni di conservazione.

 

Più recentemente, il decreto legislativo n. 116/2020  ha totalmente riformato l’articolo 180 del decreto legislativo n. 152/2006 – “Testo Unico Ambientale”, ove, al comma 2, si legge che i programmi nazionali:

g) riducono la produzione di rifiuti alimentari nella produzione primaria, nella trasformazione e nella fabbricazione, nella vendita e in altre forme di distribuzione degli alimenti, nei ristoranti e nei servizi di ristorazione, nonché nei nuclei domestici come contributo all’obiettivo di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite di ridurre del 50 per cento i rifiuti alimentari globali pro capite a livello di vendita al dettaglio e di consumatori e di ridurre le perdite alimentari lungo le catene di produzione e di approvvigionamento entro il 2030. Il Programma nazionale di prevenzione dei rifiuti comprende una specifica sezione dedicata al Programma di prevenzione dei rifiuti alimentari che favorisce l’impiego degli strumenti e delle misure finalizzate alla riduzione degli sprechi secondo le disposizioni di cui alla legge 19 agosto 2016, n. 166;

h) incoraggiano la donazione di alimenti e altre forme di ridistribuzione per il consumo umano, dando priorità all’utilizzo umano rispetto ai mangimi e al ritrattamento per ottenere prodotti non alimentari.

 

Quanto sopra, del resto, è in perfetta coerenza con la direttiva (UE) 2018/851 del Parlamento europeo e del Consiglio, che modifica la direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti, invitando gli Stati Membri ad agire per ridurre lo spreco di cibo in ogni fase della catena di approvvigionamento, oltre a monitorare e a riferire periodicamente alla Commissione sui livelli di spreco alimentare.

 

 

Termine Minimo di Conservazione e scadenza

Il termine minimo di conservazione di un prodotto alimentare è definito come la “data fino alla quale tale prodotto conserva le sue proprietà specifiche in adeguate condizioni di conservazione” [art. 2(r), regolamento (UE) 1169/2011 – “Food Information to Consumer Regulation“].

Come noto, “successivamente alla data di scadenza un alimento è considerato a rischio a norma dell’articolo 14, paragrafi da 2 a 5, del regolamento (CE) n. 178/2002” [art. 24, reg. (UE) 1169/2011], ma la stessa cosa non vale per il superamento del termine minimo di conservazione, il quale ha una valenza di carattere commerciale, in quanto ha a che fare con la sfera di qualità del prodotto.

 

Donazione di alimenti con T.M.C. decorso

La Legge Gadda, sopra richiamata, ammette la possibilità di donare alimenti con T.M.C. decorso (art. 4, c.1), nell’ottica di limitare e contenere lo spreco alimentare:

Le cessioni di cui all’articolo 3 (ovvero le cessioni gratuite a donatari che le debbono destinare prioritariamente a persone indigenti, ndR) sono consentite anche oltre il termine minimo di conservazione, purché siano garantite l’integrità dell’imballaggio primario e le idonee condizioni di conservazione.

Ci si potrebbe chiedere, allora, se si possa donare un alimento in un arco temporale indefinito dopo lo spirare del termine minimo di conservazione, e la risposta è negativa, posto che l’operatore del settore alimentare è sempre tenuto al dovere generale di commercializzare alimenti sicuri, come afferma l’art. 5, c.1, della legge sopra citata:

Gli operatori del settore alimentare che effettuano le cessioni di cui all’articolo 3, comma 1, e all’articolo 4, devono prevedere corrette prassi operative al fine di garantire la sicurezza igienico-sanitaria degli alimenti, in conformità a quanto stabilito dal regolamento (CE) 852/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, […]. Essi sono responsabili del mantenimento dei requisiti igienico-sanitari dei prodotti alimentari fino al momento della cessione […].

 

Unione Europea

Lo stesso concetto è rinvenibile nel documento dell’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare – EFSA “Hazard analysis approaches for certain small retail establishments and food donations: second scientific opinion” (27 settembre 2018), poi ripreso pedissequamente dalla “Comunicazione della Commissione che fornisce orientamenti sui sistemi di gestione per la sicurezza alimentare per le attività di commercio al dettaglio concernenti alimenti, comprese le donazioni alimentari” (2020/C 199/01):

(5.3): […] nel caso di alimenti etichettati con indicazione di un termine minimo di conservazione, dato che la sicurezza alimentare non è direttamente influenzata da tale data, tali prodotti possono comunque essere distribuiti ai fini di donazioni alimentari oltre tale data nel caso in cui siano soddisfatte le seguenti condizioni: a) l’integrità/la completezza del materiale da imballaggio non è compromessa (ad esempio nessun danno, nessuna apertura, nessuna condensa ecc.); b) gli alimenti sono stati conservati correttamente nel rispetto della temperatura e delle altre condizioni richieste (ad esempio surgelazione a –18 °C o magazzinaggio in condizioni asciutte); c) nel caso di alimenti congelati prima del termine della loro conservabilità per fini di donazione, controllando le informazioni fornite in merito alla data di congelamento (che, in alcuni casi, possono essere indicate sull’etichetta); d) gli alimenti sono ancora idonei al consumo umano (ad esempio organoletticamente accettabili, assenza di muffe, irrancidimento ecc.); e e) non si è verificata alcuna esposizione ad altri significativi rischi per la sicurezza alimentare o per la salute (ad esempio radioattività).

 

In conformità a tali indirizzi tecnici, è stata di recente riformata anche la normativa igienica euro-unitaria.

Il regolamento (UE) 2021/382 della Commissione, pubblicato il 3 marzo 2021, ha modificato l’allegato II del regolamento (CE) n. 852/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio sull’igiene dei prodotti alimentari, introducendo un nuovo capitolo (il V bis) sulla ridistribuzione degli alimenti, a mente del quale gli alimenti per i quali si applica il termine minimo di conservazione possono essere ridistribuiti anche oltre tale data, a patto che non siano dannosi per la salute umana e siano adatti al consumo umano, purché “la durata di conservazione residua sia sufficiente per consentire la sicurezza della ridistribuzione e dell’uso da parte del consumatore finale” e ne sia garantita la rintracciabilità.

 

 

Termini temporali per la donazione

Quanto alla determinazione del suddetto arco temporale successivo al termine minimo di conservazione entro cui un alimento può tranquillamente essere consumato, soccorrono le linee guida predisposte da Caritas Italiana e Banco Alimentare O.N.L.U.S., validate dal Ministero della Salute, “Manuale le per corrette prassi operative per le organizzazioni caritative” (ottobre 2015). Nel documento in parola, ad esempio, per i prodotti a base di carne (prodotti di salumeria crudi, cotti o stagionati) in pezzi interi, si fissa un termine massimo di 2 mesi a partire dalla scadenza del T.M.C., a patto che nei prodotti non vi sia “presenza e/o odore di muffa, perdita delle caratteristiche sensoriali tipiche, segni di evidenza di irrancidimento della parte grassa”.

 

 

Alimenti non più destinati all’alimentazione umana

Gli alimenti non più idonei al consumo umano, o perché scaduti, o perché, per qualsivoglia altra ragione, non siano garantiti gli standard di sicurezza previsti dalla legislazione alimentare e dalle procedure interne di autocontrollo, possono andare incontro a tre sorti diverse: essere usati tal quali come mangimi, essere trasformati in mangimi, essere smaltiti come rifiuto.

Da tenere sempre a mente, che la decisione di ritirare o eliminare dal commercio un alimento è irreversibile: una volta destinato a mangime o classificato come rifiuto, non può più tornare ad essere trattato come cibo.

Prima di addentrarci in tale disamina, sono opportune alcune definizioni.

 

Ex prodotti alimentari

Ai sensi dell’Allegato A, n. 3, regolamento (UE) n. 68/2013 della Commissione, concernente il catalogo delle materie prime per mangimi, gli ex prodotti alimentari sono

prodotti alimentari, diversi dai residui della ristorazione, fabbricati, in modo del tutto conforme alla legislazione comunitaria sugli alimenti, per il consumo umano ma che non sono più destinati al consumo umano per ragioni pratiche, logistiche o legate a difetti di lavorazione, d’imballaggio o d’altro tipo, senza che presentino alcun rischio per la salute se usati come mangimi. La fissazione di tenori massimi di cui all’allegato I, punto 1, del regolamento (CE) n. 767/2009 non si applica agli ex prodotti alimentari e ai residui della ristorazione. Essa si applica quando tali alimenti sono ulteriormente lavorati al fine dell’ottenimento di mangimi.

 

Sottoprodotti

  • Sottoprodotto in generale:
    • una sostanza o un oggetto derivante da un processo di produzione il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto (direttiva 2008/98/CE, art. 5.1);
  • Sottoprodotti di origine animale:
    • corpi interi o parti di animali, prodotti di origine animale o altri prodotti ottenuti da animali, non destinati al consumo umano, ivi compresi gli ovociti, gli embrioni e lo sperma (regolamento (CE) 1069/2009, art. 3.1).

Rifiuti

  • Rifiuto
    • qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi (direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio “direttiva quadro sui rifiuti”, art. 3.1);
  • Rifiuto alimentare
    • tutti gli alimenti secondo la definizione di cui all’articolo 2 del regolamento (CE) n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio che sono diventati rifiuti (direttiva 2008/98/CE, art. 3.4 bis, ripreso da T.U.A., art. 183, lett. d-bis).

 

Quando non si applica la direttiva rifiuti

Un sottoprodotto (direttiva 2008/98/CE, art. 5.1, ripreso da T.U.A., art. 184-bis, co. 1) non è un rifiuto se soddisfa tutte le seguenti condizioni:

  • a) è certo che la sostanza o l’oggetto sarà ulteriormente utilizzata/o;

  • b) la sostanza o l’oggetto può essere utilizzata/o direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;

  • c) la sostanza o l’oggetto è prodotta/o come parte integrante di un processo di produzione e

  • d) l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana.

 

Secondo l’art. 2.2, direttiva 2008/98/CE, inoltre, non sono considerati rifiuti alimentari:

  • b) sottoprodotti di origine animale, compresi i prodotti trasformati contemplati dal regolamento (CE) n. 1774/2002, eccetto quelli destinati all’incenerimento, allo smaltimento in discarica o all’utilizzo in un impianto di produzione di biogas o di compostaggio;

  • e) sostanze destinate a essere utilizzate come materie prime per mangimi di cui all’articolo 3, paragrafo 2, lettera g), del regolamento (CE) n. 767/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio e che non sono costituite da né contengono sottoprodotti di origine animale.

 

Sintesi

Quindi, riassumendo, un rifiuto alimentare è un alimento, non destinabile all’alimentazione animale, di cui l’operatore intenda disfarsi o perché obbligato da norme cogenti, o perché non è più possibile utilizzare tale sostanza per l’alimentazione umana, in quanto inidonea, o ancora perché questa è la sua volontà, per qualsivoglia ragione.

 

 

Destinazione a mangime

cibo trasformato in mangimePer l’utilizzo o trasformazione in mangime, è necessario che un operatore del settore dei mangimi si assuma la responsabilità di garantire che il prodotto, preso così com’è, o previamente trasformato, sia sicuro per gli animali e anche per gli umani, nel caso di animali destinati alla produzione alimentare (art. 15 GFL).

Di conseguenza, l’operatore del settore alimentare che si ritrovi con alimenti:

  • scaduti;
  • per i quali è decorso il Termine Minimo di Conservazione;
  • scarti di lavorazione e
  • alimenti inidonei al consumo umano (per ragioni qualitative, mancato raggiungimento di standard, non ben conservati, ecc.),

prima smaltirli come rifiuti, ma dopo aver verificato, invano, che non possa cederli ad enti che si occupano di fornire pasti agli indigenti, potrebbe destinarli all’alimentazione animale.

A tal fine, i prodotti così “riconvertiti” vanno opportunamente identificati come destinati all’alimentazione animale e non etichettati come rifiuti: come già detto, una volta che una sostanza sia stata qualificata come rifiuto, anche da parte di un operatore a monte, va obbligatoriamente smaltita e ogni suo riutilizzo alimentare è escluso.

 

Fonti giuridiche

In tema di mangimi, le principali fonti euro-unitarie sono:

  • regolamento (CE) 178/2002 per i principi generali;
  • direttiva 2002/32/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa alle sostanze indesiderabili nell’alimentazione degli animali;
  • regolamento (CE) n. 183/2005 del Parlamento europeo e del Consiglio, che stabilisce requisiti per l’igiene dei mangimi;
  • regolamento (CE) n. 767/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, sull’immissione sul mercato e sull’uso dei mangimi;
  • regolamento (CE) n. 1831/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, sugli additivi destinati all’alimentazione animale.

 

Sul tema, la Commissione ha emanato apposite linee guidaComunicazione della Commissione -Orientamenti per l’utilizzo come mangimi di alimenti non più destinati al consumo umano” (2018/C 133/02), sulla scia del Piano d’azione dell’Unione europea per l’economia circolare (COM(2015) 614).

 

Seguendo la Comunicazione di cui sopra, si possono individuare 3 casi.

Primo caso

Sottoprodotti (dunque non si tratta di prodotti finali), derivanti dal processo di lavorazione degli alimenti (tra cui anche il materiale caduto sul pavimento in stabilimenti alimentari) e che non contengono prodotti di origine animale, né sono costituiti o contaminati da tali prodotti.

Esempi: panelli di semi di girasole dalla triturazione dei relativi semi, germi di frumento dalla molitura del grano, ecc.

Questi sottoprodotti non di origine animale sono tendenzialmente classificati come rifiuti, a meno che l’Operatore del Settore dei Alimentare e dei Mangimi dimostri che (direttiva 2008/98/CE, art. 5.1, ripreso da T.U.A., art. 184-bis, co. 1):

  1. siano parte integrante di un processo di produzione alimentare;
  2. il loro utilizzo nei/come mangimi sia legale, certo e tracciato;
  3. non debbano essere sottoposti ad ulteriori trattamenti, al di fuori di normali processi produttivi di alimenti o mangimi (quindi non processi di recupero) e
  4. siano sicuri per l’ambiente, gli animali e gli essere umani.

 

Secondo caso

Prodotti alimentari finali che non sono costituiti, non contengono e non sono contaminati da sottoprodotti di origine animale.

Esempi: biscotti sbriciolati, pane raffermo, ecc.

Questi prodotti, una volta divenuti ex alimenti (perché lo prevede una norma, per necessità, o per libera scelta dell’operatore responsabile) possono diventare, di per sé o dopo apposite trasformazioni, materie prime per mangimi, garantendone sicurezza e rintracciabilità, in conformità alla disciplina di settore.

 

Terzo caso

Prodotti di origine animale (o prodotti comunque costituiti o contaminati da tali sostanze).

Esempi: carne macinata, latticini, ecc.

Questi prodotti, una volta tolti dalla circolazione come alimenti per uso umano, vengono dapprima classificati come sottoprodotti di origine animale e, se possibile nel rispetto del relativo regolamento (CE) 1069/2009 e del regolamento (CE) 999/2001 (sulle encefalopatie spongiformi trasmissibili), diventano materia prima per mangimi, oppure fertilizzanti o altri prodotti tecnici; altrimenti vanno destinati, quali rifiuti, allo smaltimento.

Tali regolamenti settoriali vietano, come è intuibile, la trasformazione in mangimi di sottoprodotti di origine animale che abbiano subito processi di decomposizione o deterioramento tali da presentare rischi inaccettabili per la salute pubblica o degli animali [art. 14, lett. d, reg. (CE) 1069/2009].

In nessun caso, comunque, è possibile utilizzare direttamente ex alimenti come mangimi se ancora presenti imballaggi e parti d’imballaggio [Allegato III, punto 7, regolamento (CE) 767/2009].

 

 

Registrazione come operatore del settore dei mangimi

Una problematica rilevante è rappresentata dal fatto che il regolamento (CE) n. 183/2005, che stabilisce requisiti per l’igiene dei mangimi, impone a coloro che intendono destinare i propri prodotti o sottoprodotti ad uso zootecnico, di notificare la propria attività all’autorità sanitaria compente, al fine di essere qualificati come “Operatore del Settore dei Mangimi”, anche se già possiedono l’attribuzione di Operatore del Settore Alimentare.

Fortunamente, con la “Comunicazione della Commissione – Guida all’attuazione di alcune disposizioni del regolamento (CE) n. 183/2005 che stabilisce requisiti per l’igiene dei mangimi” (2019/C 225/01), sono stati forniti utili chiarimenti sulla questione.

In breve: la notifica sanitaria come Operatore del Settore dei Mangimi non va effettuata se i prodotti o sottoprodotti non sono ceduti tal quali come mangimi, ma come materiale impiegato da un altro operatore che lo trasforma per la produzione di mangime. Sarà quest’ultimo a dover notificare la propria attività e a far registrare/riconoscere i propri stabilimenti.

Se, viceversa, i prodotti o sottoprodotti ceduti sono essi stessi mangime, senza necessità di essere trasformati, allora la notifica andrà fatta anche dal primo operatore.